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giovedì 5 aprile 2018

IL MARESCIALLO LETTERATO E GLI ALTRI CADUTI DELL'IMPUNITA STRAGE DI CIACULLI

Le immagini riproposte da ReportageSicilia
illustrarono un articolo di Giuseppe Fava dedicato
alla strage di Ciaculli, a Palermo.
Il reportage del giornalista ucciso dalla mafia nel 1984
venne pubblicato dalla rivista "Tempo" nel luglio del 1963
Giornalista e scrittore capace di raccontare la verità dei fatti scrutando le debolezze umane dei suoi protagonisti, Giuseppe Fava scrisse sulle pagine di "Tempo" un mirabile resoconto della strage di Ciaculli, avvenuta a Palermo il 30 giugno del 1963.
L'articolo venne pubblicato 13 giorni dopo l'eccidio di quattro carabinieri, un poliziotto e due militari del Genio dell'Esercito, con il titolo "I delitti della mafia resteranno ancora impuniti?".
Nel suo reportage, Fava ricostruì la dinamica della tragica esplosione della "Giulietta", giustamente notando - a caldo - che l'episodio non era da considerarsi un attentato contro le forze dell'ordine, quanto piuttosto un fallito tentativo di colpire un esponente della famiglia dei Greco. 
Una gomma bucata costrinse i guastatori a fermare la vettura anzitempo, e questa fortuita circostanza cambiò il corso drammatico degli eventi.
A Palermo, era quello il periodo delle "Giuliette-bomba"; e proprio una di queste micidiali auto esplosive, poche ore prima la strage di Ciaculli, aveva ucciso a Villabate il commerciante Giuseppe Di Peri e due fornai, Giuseppe Tesauro e Giuseppe Castello.
Ancor oggi, i responsabili materiali della morte di Mauro Malausa, Eugenio Altomare, Calogero Vaccaro, Marino Fardelli, Silvio Corrao, Pasquale Nuccio e Giorgio Ciacci sono impuniti, come si chiedeva l'articolo di "Tempo".
Nessun esponente di Cosa Nostra è stato mai giudicato in un aula giudiziaria per quell'eccidio, che ebbe il solo merito di ricordare all'Italia - al di là del folklore alimentato sino allora dal fenomeno - il volto violento ed eversivo della mafia.



Il clamore suscitato dall'attentato di Ciaculli affrettò l'istituzione della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla mafia e indusse il governo a mandare al confino boss e gregari di Cosa Nostra: provvedimenti e misure che, pur senza risolvere il fenomeno della mafia, hanno rappresentato la certificazione dell'ingerenza delle cosche nella vita civile siciliana ed italiana.
La cronaca di Giuseppe Fava di quella strage ricostruisce con analitica visione dei fatti il dramma umano rappresentato dall'esplosione della "Giulietta".
Ne emerge così un dolente ma non retorico ritratto privato delle sette vittime, a cominciare dal maresciallo di polizia Silvio Corrao: un uomo "malinconico" e con il rammarico - nel ruolo di  investigatore nella Palermo dominata dalla violenza dei clan - per una mancata carriera da scrittore:
  
"A Villa Serena, sul luogo della strage, abbiamo visto piangere commissari di polizia e ufficiali dei carabinieri, piangere senza ritegno, addossati ad un muro , senza che alcuno, né i subalterni, né i giornalisti, ardisse consolarli.
Lo scheletro della 'Giulietta', cioè un rottame nero, era al centro, c'era una ruota dell'auto schiacciata contro il muro, un brandello della carrozzeria infisso stranamente su un tronco d'albero; v'erano orribili membra ancora piene di sangue, confuse tra la terra, una scarpa; del maresciallo della Mobile, Silvio Corrao, hanno trovato solo la cinghia dei pantaloni, la fede nuziale e la fondina della pistola che sono state consegnate alla moglie.
Di lui non è rimasto niente altro, non può avere nemmeno una tomba.
Era un uomo malinconico, diceva sempre d'avere sbagliato mestiere, che avrebbe voluto fare lo scrittore e frequentava infatti la famosa Libreria Flaccovio che è un po' il cenacolo letterario dei palermitani, discuteva, litigava sul 'Gattopardo', su Moravia e Sciascia.
Lo chiamavano il maresciallo letterato.
Era in effetti un patetico ed intelligente uomo del Sud, che della sua terra cercava di capire le angosce più misteriose e, come tanti altri, sbagliava, cercava cioè di dare loro una ragione romantica.
Lo hanno ucciso con una bombola di gas da cucina.


Quattro delle nove vittime:
da sinistra in alto Mario Malausa e Calogero Vaccaro.
Sotto, Marino Fardelli ed Eugenio Altomare
Del tenente dei carabinieri , Mario Malausa, è stata ritrovata solo una stelletta della divisa e una spallina con i gradi.
Aveva ventiquattro anni, era piemontese, ex ufficiale dei carristi, alto ingenuo, spavaldo, un atleta che correva i cento metri in undici secondi netti.
Era venuto al Sud come l'ufficiale dei carabinieri de 'Il giorno della civetta' per capire e per combattere la sua parte.
Tutto quello che resta di lui potranno restituirlo alla madre entro una piccola busta gialla d'ufficio.
Del carabiniere Eugenio Altomare hanno rinvenuto solamente il berretto e l'anello nuziale.
Si era sposato la settimana scorsa.
Del maresciallo artificiere Pasquale Nuccio hanno ritrovato la giubba e un moncone sfigurato; i suoi allievi della scuola di artiglieria lo hanno riconosciuto dalle mostrine.
Era in licenza; con la moglie ed i bambini aveva deciso di trascorrere la vacanza a Mondello.
Del maresciallo dei carabinieri Calogero Vaccaro è stato rinvenuto il corpo decapitato a cinquanta metri di distanza dall'esplosione.
L'unica delle vittime che lo scoppio non ha straziato è il carabiniere Marino Fardelli, morto per dissanguamento in ospedale, due ore dopo il ricovero.
Aveva vent'anni e si era arruolato da sette mesi. 



Sul grande scrittoio settecentesco salone-studio di villa Abate, dove è stato posto il comando generale delle operazioni agli ordini dell'ispettore generale Parlato, ci sono fasci di telegrammi, a centinaia, anzi a migliaia, che arrivano da ogni parte della Sicilia e dell'Italia.
Telegrammi illustri, il Capo del Governo, il Presidente della Regione, molti deputati, senatori, sconosciuti cittadini che hanno scritto da tutte le città siciliane.
Alcuni invocano la legge speciale, come trent'anni fa, la possibilità cioè di arrestare subito e senza processo tutti i pregiudicati sospetti di attività mafiose, per relegarli in un'isola e renderli innocui.
Altri affermano: bisogna che gli uomini della polizia ed i carabinieri siano autorizzati a sparare, sparare subito, se del caso per primi, come lo furono gli uomini dell'FBI nei sanguinosi anni Trenta di Chicago.
Sono i più ingenui: sparare contro chi?



Altri infine, i più ragionevoli, o coloro che hanno capito come la vita di una nazione civile non possa essere regolata dalla paura, e come i grandi problemi della società, la ingiustizia che origina la miseria, la miseria che origina la violenza, la violenza che causa la corruzione e la strage, non si risolvono con la vendetta; costoro si chiedono se e quando la commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia comincerà veramente a funzionare, e se avrà la forza morale, l'indipendenza politica e il potere giuridico per andare a fondo del problema.
Capire cioè da dove nasce la idea mafiosa, da quale tragico bisogno umano e chi se ne serve, e quali sono i suoi interessi, e quali le sue collusioni e corruzioni.
E colpire, colpire, colpire.
Implacabilmente e giustamente, secondo legge.



Ma questa forse è un pò un'idea romantica come quella di Silvio corpo, povero maresciallo della Squadra Mobile di Palermo, che trascorreva le sue ore libere a discutere del 'Gattopardo', e s'illudeva che anche il crimine avesse sempre una sua remota ma sicura ragione di poesia.
E di lui è stata ritrovata solo la cinghia dei pantaloni"

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