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mercoledì 10 gennaio 2018

L'INSANABILE LESIONE DEL BELICE A CINQUANT'ANNI DAL TERREMOTO


Molto si è scritto, molto si è detto e molto si è promesso in cinquant'anni di storia del terremoto del Belìce.
Oggi bisogna visitare questi luoghi fra le province di Trapani ed Agrigento per capire come il sisma abbia cristallizzato le ferite del territorio e le aspettative delle persone che lo abitano.
E bisogna visitare il Belìce per capire come i nuovi paesi - ancora spopolati da una costante emigrazione - siano stati costruiti più per collocare che per aggregare persone.


Il sisma di cinquant'anni fa non ha provocato solo centinaia di vittime ( il numero preciso non è mai stato stabilito ) ed una colossale devastazione edilizia.
Le scosse hanno lesionato anche il corso della vita di migliaia di donne, bambini e uomini: i terremotati di allora e le generazioni che si sono succedute in mezzo secolo di storia belicina.
Le immagini riproposte da ReportageSicilia ricordano le rivendicazioni rimaste in buona parte senza risposta di quanti capirono, già pochi mesi dopo la devastazione, che gli effetti del disastro naturale sarebbero stati aggravati dall'inettitudine della burocrazia e dall'illegalità.


Le scritte sulle macerie di Gibellina e Salaparuta furono documentate dal fotografo Gabriele Milani e illustrarono un reportage di Paolo Santoro sulla "Domenica del Corriere" del 21 gennaio del 1969.


Illuminante e sostanzialmente attuale è ancor oggi il "sommario" che accompagnò quell'articolo:

"La gente vive ancora come se il cataclisma fosse un dato permanente del suo destino.
E in realtà la necessità di pianificare prima di costruire, gli assurdi burocratici, la mancanza di occasioni di lavoro contribuiscono a creare una situazione di inerzia in cui gli uomini pensano solo a sopravvivere"









 

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