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domenica 26 febbraio 2017

DISEGNI DI SICILIA


RENATO FRATINI, "Noto", ( 1956 )

UN REPORTAGE DI ALDO FRANCHI SULLA DECORAZIONE DELLE BARCHE

Tradizione ed istinto nell'iconografia delle imbarcazioni da pesca in un resoconto del giornalista toscano pubblicato nel 1957 dalla rivista "Sicilia"

Decorazioni di barche da pesca ad Acitrezza
agli inizi degli anni Cinquanta.
Le fotografie vennero pubblicate
dalla rivista "Sicilia" nel giugno del 1957
ed illustrarono un reportage
del giornalista toscano Aldo Franchi,
all'epoca autore anche di alcuni documentari
dedicati alla cultura tradizionale dell'Isola
"Il paese della favola - come scrive James Matthew Barrie in 'Peter Pan' - è sempre, più o meno, un'isola".
Citando l'affermazione dello scrittore scozzese inventore del bambino fantastico, il giornalista Aldo Franchi firmò nel giugno del 1957 un reportage intitolato "Barche nel mare siciliano".
Il suo resoconto, accompagnato da alcune fotografie scattate nel catanese e accreditate all'Assessorato al Turismo, venne pubblicato sulle pagine del numero 18 della rivista "Sicilia".
Di origini toscane, Franchi fu un cronista a Palermo del "Giornale di Sicilia"; fu anche sceneggiatore e documentarista di alcuni aspetti della cultura popolare nell'isola, negli anni delle sue profonde trasformazioni economiche e sociali.
Tra la fine degli anni Quaranta e sino alla metà dei Sessanta, la produzione filmata di Aldo Franchi in Sicilia è testimoniata da molti titoli.
Un suo documentario dedicato ai carretti venne proiettato al Festival del Cinema di Venezia; fra gli altri lavori, si ricordano "Cotone nella terra del sole", "Sagre dell'Isola", "Paladini per le vie", "Sicilia del Risorgimento" e "Vita sul mare".


Il reportage dedicato alle barche è probabilmente uno dei primi saggi pubblicistici dedicati all'arte della loro decorazione, già oggetto di interesse in Giuseppe Pitrè ( "La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano" ).
Il resoconto di Franchi distingue in primo luogo la decorazione dei carretti da quella delle barche da pesca.
Quest'ultima era eseguita da un 'pincisanti' o da un 'pitturi', specializzati nella figurazione di soggetti sacri; gli altri motivi erano per lo più affidati a pescatori conosciuti per la loro abilità nelle varie borgate marinare dell'isola.


Aldo Franchi indica nel rispetto della "tradizione" e nell'estro individuale - l' "istinto" - le fonti di ispirazione dei decoratori delle barche; e vi individua pure la capacità di rifarsi a taluni riferimenti colti del patrimonio iconografico dell'architettura araba e normanna.
Oltre l'aspetto pittorico e folcloristico, Franchi non perde tuttavia di vista la funzione pratica delle barche, "strumento di duro lavoro" e fonte di pericoli per i pescatori:
         
"I pittori di barche non attingono al vasto repertorio di quelli dei carretti, che, come è noto, traggono i loro soggetti dall'epica storia dei cavalieri di Francia, dagli episodi della vita dei Santi, dalla vera storia di Sicilia o da poemi come la 'Gerusalemme Liberata'; i pittori a cui si rivolgono i marinai non tendono alla narrazione, salvo che nell'eventuale 'fatto' del quale qualcuno è stato protagonista sul mare e che si vuole ricordare sulla barca quale ex voto, di consueto, dedicato alla Madonna o a uno dei santi che si ritiene abbiano fatto il miracolo.


Per il resto si tratta di figure isolate come sirene, cavalli marini, angeli, fiori, spade, cuori, emblemi della città d'origine e scritte augurali, oltre alla figura del Santo protettore e al disegno di grandi occhi al limite della prua, quasi sempre presenti in talune zone del catanese e del siracusano.
Fasce grandi e piccole s'alternano, seguendo il senso della chiglia, con vari motivi ornamentali.
E la parte più preziosa della decorazione è di solito quella superiore, che continua anche sulla caratteristica sbarra di legno che sovrasta la prua, sul rostro, voglio dire, o telamone, come si può chiamare insieme ai marinai ( 'talamuni' ).
Questa fascia dell'orlo, per la sua varietà cromatica, dà un tono di fasto a tutta l'imbarcazione e offre lìoccasione di vari rapporti con la decorazione dei carretti, tanto nell'uso dei colori, tra i quali predominano, almeno in quelle da me viste in vari luoghi, il rosso, il giallo, il verde e l'azzurro, con qualche omaggio al blu di Prussia, quanto nel disegno, spesso geometrico, astratto, senza obblighi di raffigurazione, il quale richiama l'arte dei maestri di scuola araba.
Anche questo avvicinamento, come quello ai greci per certe vele e sagome di imbarcazioni, è naturale, specialmente in chi abbia visto talune opere medioevali, come per esempio i fregi che decorano lo zoccolo della Cappella Palatina o la fontana della Zisa di Palermo.


Ma non si può parlare di 'modelli'; l'artista, il pittore di barche, segue per un verso chi l'ha preceduto, il filo della tradizione, e per l'altro verso il suo istinto, il suo gusto, al quale non è certamente estraneo l'ambiente, il colore e le caratteristiche della natura circostante, il mare e la grande 'macchia' mediterranea.
le pratiche esigenze del lavoro, determinano, com'è logico, la forma, il tipo delle imbarcazioni, tra le quali si distinguono quelle del mare di Gela, Augusta, Siracusa, Catania e Messina.
Ma anche dove la decorazione non ripete motivi che rimandano a tempi remoti, come a Cefalù o a Palermo, la vivacità delle figure, il senso del colore sono sempre presenti.
E si sostituiscano i fiori ai pesci, le spade ai cuori, l'ornato stilizzato a strisce multicolori o presentino le barche variazioni nella forma come la 'sardara', la barca da fiocina o la 'lampara', rivelano tutte un'eleganza e un estro particolari.
Così anche nelle rappresentazioni della Madonna, dei Santi e dei miracoli, ex voto che contengono fatti e prodigi, espressi con il cordiale linguaggio di un'antica tradizione; una pittura dai forti contrasti, dalle improvvise accensioni cromatiche; una arte tutta affetti, nota e pur sempre imprevedibile, fatta d'ingenue primitive bravure e di pensieri, che meglio delle parole afferma, anche nel calore dell'enfasi, schietta fede e poesia.


Circa l'occhio umano disegnato a prua, c'è da dire che l'usanza, almeno in origine, si deve a certe credenze popolari.
Oggi può darsi che lo si ripeta come un qualunque motivo decorativo.
Quando nel marzo scorso ne chiesi la ragione a un marinaio di Siracusa, mi rispose soltanto 'così va meglio!', con uno di quei sorrisi che si possono prendere come si vuole: sul serio se si crede che la barca voghi meglio soltanto allontanando gli spiriti maligni o con lo scherzo se si è indifferenti a certi riti.
Ma anche questi piccoli misteri, insieme all'anonimo dei pittori, accrescono l'interesse e la simpatia per queste barche variopinte.
Il folclore, però, l'aspetto pittorico, non traggono in inganno; questi imbarcazioni sono strumenti di un duro lavoro, per cui, come tra le preziose sponde dei carretti vanno pietre, rena, sacchi o ceste, nelle stive troveremo corte, reti, fiocine e pesce, quando la lunga e spesso pericolosa fatica sul mare, dà buoni frutti.
Motivi d'arte popolare, insomma, legati all'intelligenza, all'antico gesto dell'uomo" 



  

martedì 7 febbraio 2017

UNA "SANTUZZA" PROTETTRICE DEI LIMONI

Santa Rosalia vigila sul commercio di limoni
di un ambulante palermitano.
La fotografia è di ReportageSicilia

"Inesaustibile appare il tema di Santa Rosalia, patrona di Palermo, interminabile l'elenco delle opere che a lei si ispirano, inesauribile fonte d'ispirazione per artisti che attraverso i secoli hanno tratto spunto dagli episodi della sua vita, avvincente oggetto d'indagine per gli studiosi di ogni tempo e inestinguibile elemento di religiosa devozione per i fedeli della città e non.
Un po' fascino, e un po' mistero, un po' curiosità e un po' attrattiva sono momenti che hanno determinato il proliferare di opere correlate alla Santa, senza significativi periodi di flessione, ma con rinnovato entusiasmo ogni volta che il volgere degli anni introduceva nuovi stili e nuove tecniche espressive"

Così ha scritto la storica dell'arte Maria Concetta Di Natale nell'opera "Rosalia Sinibaldi, da nobile a Santa", pubblicata nel 1994 in occasione di una Mostra Iconografica dedicata alla patrona di Palermo ospitata a Palazzo Asmundo.
La mostra diede allora conto della ricca produzione di stampe, santini, dipinti su vetro, reliquiari e marionette che nel corso dei secoli hanno raffigurato la Santuzza.
Permane tuttavia oggi una produzione altrettanto prolifica di opere che testimoniano il culto popolare nei confronti di santa Rosalia: non vere e proprie opere d'arte, ma umili raffigurazioni che incarnano il sentimento di devozione ed il gusto decorativo di anonimi artigiani e devoti palermitani.
A volte, la raffigurazione della Santuzza ricavata da una vecchia stampa arreda le mura di casa o i luoghi di lavoro: a quest'ultimo caso appartiene la Santa Rosalia raffigurata alle spalle della cabina di guida di una Moto Ape.
Il proprietario della "lapa" gli ha affidato il compito di proteggere e favorire il suo commercio ambulante di limoni "verdelli". 
L'immagine - colta nei pressi di porta Carini, al Capo - conferma insomma "l'inesaustibile" ricchezza del repertorio celebrativo palermitano dedicato a Rosalia Sinibaldi, 400 anni dopo la sua miracolosa apparizione sul monte Pellegrino.   


domenica 5 febbraio 2017

LO SBIADITO RICORDO DELLA GRANDEZZA DI SIRACUSA

Una pagina di Edmondo De Amicis celebra la gloria dimenticata di quella che fu una delle più ricche e influenti metropoli del Mediterraneo


Donne in costume "siciliano" in barca sul corso d'acqua del Ciane.
Il materiale documentario riproposto da ReportageSicilia
è tratto da un opuscolo promozionale
pubblicato dall'Ente Provinciale Turismo di Siracusa a
gli inizi degli anni Cinquanta

Fu nel 1906 che Edmondo De Amicis compì nell'Isola quel tour che due anni dopo sarebbe stata postuma materia di "Ricordi d'un viaggio in Sicilia", edito a Catania da Giannotta.
Quello di De Amicis fu un viaggio concentrato soprattutto nel capoluogo etneo, grazie all'ospitalità offertagli da Luigi Capuana e alla vecchia amicizia con Mario Rapisardi.
Nelle 160 pagine dell'opera, lo scrittore di Oneglia raggiunse Siracusa.
L'impressione che ne ebbe fu quella di una città dalla grandezza perduta; i pochi monumenti ancora visibili di una delle più ricche città dell'antichità  impediscono allo scrittore di percepire l'atmosfera di quella gloria persa da secoli.
Siracusa - la metropoli un tempo protetta da ventidue chilometri di mura e decaduta a partire dalla conquista dei Romani - gli appare ristretta nel vecchio budello urbano di Ortigia, sede periferica di una Prefettura e priva pure di un quotidiano che ne racconti le cronache locali.



La modestia della città moderna - nota De Amicis - è espressa anche dal carattere dei siracusani, da lui indicati più "miti e gentili" rispetto al resto dei siciliani; un giudizio in seguito espresso da altri viaggiatori e materia di velato dileggio nel resto dell'Isola ( "Siracusa provincia babba" ): 
    
"Quale delle città decadute, o scomparse, del mondo antico ha conservato, dopo Atene e Roma, una così vasta fama come Siracusa?
C'è un uomo in Europa o in America, tra i meno colti delle classi non affatto ignoranti, il quale nel naufragio delle memorie scolastiche non ritrovi quel nome, e legati con quelli altri ricordi confusi d'uomini grandi, di grandi fatti, d'opere meravigliose dell'ingegno umano?
E si può ben sapere che la grandezza della città famosa non è più ora che nel suo nome; ma chi non la vide mai si avvicina con la mente così piena delle antiche memorie che, arrivandovi, dal contrasto del suo stato e del suo aspetto presente con la Siracusa della propria immaginazione riceve come la scossa di un disinganno, dal quale durerà fatica a riaversi.




Quella che un tempo la città più famosa d'Europa per ricchezza, potenza, cultura - la più vasta del mondo greco - che aveva un'area maggiore di quella di Roma fra le mura di Aureliano e poco minore di quella che ebbe Parigi sotto Napoleone III - quella Siracusa contro cui si spezzò la potenza di Atene, e a cui rimase per secoli legata la sorte della Sicilia, da ogni parte della quale accorreva gente a stabilirvisi come in una metropoli inespugnabile, predestinata al dominio del mondo - e non è più che una piccola città ristretta in quella piccola Isola d'Ortigia, dove ebbe nascimento or son ventisette secoli, una modesta sede di Prefettura di men di trentamila abitanti, che ha per presidio due battaglioni di soldati e non ha alcun giornale quotidiano.
Anche le sue vie maggiori sono strette, fiancheggiate di case modeste, e le minori così anguste che le carrozze, non potendovi passare, debbono fare spesso dei lunghi giri per andare da un punto della città a un altro vicinissimo, dove un pedone si reca in pochi passi.
Nell'aspetto degli edifici, nell'andamento della vita cittadina, nell'aria stessa degli abitanti c'è un non so che di quieto e di raccolto in cui il vostro spirito si riposa come nella serenità di un villaggio tranquillo.
Hanno infatti fama i Siracusani d'essere la più mite e gentile popolazione dell'isola.
Del passato non rimangono che poche colonne di un tempio di Diana, poche rovine di bagni, qualche casa d'epoca normanna.



Si può chiamare un resto del passato la celebrata Fontana?
La povera Aretusa, cangiata in sorgente da Alfeo innamorato, che la inseguì dall'Elide fino in Sicilia, è chiusa in profondo bacino semicircolare, piantato da papiri e occupato in parte da un giardinetto, del quale un custode tiene le chiavi, e dove i buoni borghesi conducono i bambini a veder guizzare i pesci rossi.
Eppure, che meraviglioso fascino hanno ancora le antiche favole mitologiche!
Voi vi trattenete là a guardar quell'acqua, fantasticando, cercando intorno qualche cosa, non sapete che cosa, e vi riscotete come da un sogno quando, nell'alzar gli occhi sopra la facciata di una delle case di fronte, vedete annunziato che quella sera si rappresenta 'Il Barbiere di Siviglia'..."      

venerdì 3 febbraio 2017

"OCCHIO VIVO COME LA SARDA DI TUSA"

Strumenti ed espressioni della secolare tradizione di pesca a Castel di Tusa

Barche e strumenti della cultura marinara
a Castel di Tusa, nel messinese.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia
In un luminoso giorno di febbraio - un giorno in cui la Sicilia decide improvvisamente di scrollarsi dei rigori invernali, scivolando verso la primavera - la spiaggia di Castel di Tusa regala scorci di una bellezza arcaica e contemplativa.
In quest'angolo di costa messinese è possibile scoprire l'anima di quelle antiche borgate marinare siciliane in cui gli abitanti vivevano un tempo quasi unicamente delle attività di pesca.


Quell'identità non si è del tutto persa se fra le province di Palermo e di Messina per indicare una persona sveglia si dice ancora "occhio vivo come la sarda di Tusa".
Le barche di Castel di Tusa tornano oggi a terra con un discreto carico di seppie, pettini, merluzzi e sarde: pesce povero, ma capace di produrre odori e sapori persi alla memoria in certi insospettabili bar locali.


Finché il turismo di massa non stravolgerà del tutto la semplice bellezza di questi luoghi, Castel di Tusa rimarrà un posto dove godere appieno dell'inizio della primavera siciliana; ed una passeggiata fra la sabbia e le pietre levigate della spiaggia rivelerà la secolare vocazione dei suoi abitanti alla faticosa arte della pesca.