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domenica 28 febbraio 2016

L'ILLEGGIBILE ANIMO AGRIGENTINO ALL'OMBRA DEI TEMPLI




La fotografia di Mario Torrisi venne pubblicata nel libro-inchiesta di Giuseppe Fava "Processo alla Sicilia", edito nel 1967 da Editrice ITES.
Lo scatto fissò l'attimo di un pic-nic estivo agrigentino all'ombra di un ulivo, a poca distanza dal tempio di Giunone.
L'immagine fa parte di una serie di fotografie che accompagnarono un reportage di Fava in una Agrigento scossa dalla rovinosa frana che il 19 luglio del 1966 lesionò un quinto della città, lasciando senza casa 10.000 persone: un disastro che fece all'epoca fece scoppiare un ( tardivo ) scandalo sulla cieca speculazione edilizia compiuta nella città della Valle dei Templi.

 
Il racconto del giornalista e scrittore ucciso nel 1984 dalla mafia catanese descrisse la società agrigentina di allora come una comunità sempre simile a se stessa e refrattaria agli stimoli provenienti dai piccoli e grandi eventi della città: 

"Le strade di Agrigento ti sembrano quelle di Enna o Caltanissetta, anche i negozi, la gente che cammina per strada, la sagoma dei bar.
Persino i manifesti cinematografici annunciano gli stessi film, vecchi di qualche mese.
Bisogna aspettare che accada qualcosa di diverso, di straordinario, emozionante, perché in questa facciata di rispettabilità borghese si apra improvvisamente uno squarcio e si riesca a vedere cosa c'è in realtà là dietro, nelle case, nell'animo della gente.
Ma è un attimo, la società stessa febbrilmente rimargina lo strappo; immagini, voci, dolori e vizi che ha appena percepito aumentano la confusione..." 


mercoledì 24 febbraio 2016

L'UTOPIA DEL VILLAGGIO GASSMAN A FAVIGNANA

Un reportage di "Sicilia Tempo" del novembre del 1969 ricostruisce il visionario progetto del "Punta Fanfalo Village" promosso da uno dei protagonisti del cinema e del teatro italiani


Vittorio Gassman
 e l'architetto di Castelbuono Vincenzo Cancila
durante la costruzione del "Punta Fanfalo Village", a Favignana.
Le fotografie del post
furono pubblicate dalla rivista mensile "Sicilia Tempo"
ed illustrarono un servizio di Giusy Maugeri  



Tra il 1968 ed il 1968 l'isola di Favignana fu al centro di una delle più importanti e pubblicizzate speculazioni edilizie compiute in quel periodo in Sicilia.
Il "Punta Fanfalo Village" - oltre 100.000 mq. articolati in un albergo, un villaggio turistico con bungalow ed una dependance di lusso - meritò all'epoca notorietà  perché il progetto dell'architetto castelbuonese Vincenzo Cancila venne promosso da Vittorio Gassman.
L'attore di origini liguri coinvolse nell'iniziativa l'impresario teatrale torinese Giuseppe Erba, che già in precedenza aveva condiviso altre attività imprenditoriali con Gassman; i soldi necessari alla costruzione del "Village" - 6 miliardi di lire - furono concessi sotto forma di mutui dal Banco di Sicilia, dall'IRFIS, dalla Banca del Sud e dalla ex  Cassa per il Mezzogiorno.


Una panoramica del Villaggio,
costruito dall'imprenditore agrigentino Fausto Nicosia

Le fotografie che documentano i cantieri per la costruzione dell'opera - affidata all'imprenditore agrigentino Fausto Nicosia - e la presenza a Favignana di Vittorio Gassman furono pubblicate da "Sicilia Tempo" nel novembre del 1969.
Nell'ampio reportage che accompagnava quelle immagini, Giusy Maugeri così spiegava il coinvolgimento dell'attore nel progetto:

"Vittorio Gassman operatore turistico, per la verità, ci ha sorpreso non poco, non fosse altro perché, fino ad ora, eravamo abituati a seguire le vicende artistiche di questo grande protagonista dello spettacolo sulla base di una precisa legge dei corsi e ricorsi ( teatro, cinema, teatro ) e mai avremmo pensato di ritrovarcelo qui, sotto l'azzurrissimo cielo di Favignana, impegnato nella realizzazione di un grosso complesso turistico alberghiero.
'Eppure - ci diceva l'architetto Vincenzo Cancila - c'era da aspettarselo, soprattutto da chi conosce a fondo l'anima di questo eccezionale attore che al mondo classico è rimasto particolarmente legato e che quando può non si lascia sfuggire l'occasione per incontrarsi con il suo paesaggio, con i suoi colori, i suoi eterni valori.


Ancora un'immagine del cantiere del complesso alberghiero.
L'opera venne finanziata da banche
e dalla ex Cassa per il Mezzogiorno per un totale di 6 miliardi di lire

Gassman ha voluto questa iniziativa perché, a suo modo, è una forma di spettacolo: uno spettacolo di civiltà mediterranea che possa soddisfare le attese delle grandi masse'"

Quindi "Sicilia Tempo" forniva  queste indicazioni sulle caratteristiche del "Punta Fanfalo Village", legate ad una fruizione "democratica" del complesso, senza le tradizionali  suddivisioni di categoria turistica.
Inoltre, il progetto prometteva di fare di Favignana un luogo dove rappresentare spettacoli teatrali di alto livello, grazie al contributo dello stesso Gassman: 

"Il progetto prevede la realizzazione di tre complessi, l'albergo Alessandro Hotel, un villaggio turistico vero e proprio, con ambienti semi decentrati, il Santa Germana, ed una dependance di lusso, il San Diego Club.
Tre forme di ricettività diverse secondo quanto richiede il nuovo turismo; ma soprattutto per Favignana tutte le possibili categorie economiche del turismo stesso.


Le fondamenta per la costruzione
del "San Diego Club", una delle strutture del Villaggio

Il complesso è concepito in modo tale che il turista qui può scegliere secondo le proprie disponibilità ed è libero nel corso della sua giornata di programmare le sue ore come meglio crede e, soprattutto, dove meglio crede.
Se vorrà andare in un ristorante di lusso, pur alloggiando al Santa Germana, lo potrà fare;  se è al San Diego e vorrà pranzare in caratteristici ristoranti a prezzi più accessibili, vi potrà andare; se vorrà nuotare nella piscina del villaggio perché stanco di quella riservata al San Diego o viceversa, sarà padronissimo di farlo pure.
Questi tre progetti, come dicevamo, sono dotati di una complessa attrezzatura di contorno che permetterà al turista di sentirsi impegnato dalla mattina alla sera senza annoiarsi.
Una fiabesca costruzione sarà riservata tutta ai bambini, che potranno trascorrere le loro vacanze come in una colonia di lusso lontani dai genitori e questi ultimi tranquillamente lontani da loro.


L'architettura "mediterranea" del complesso di Favignana,
che secondo i progettisti avrebbe dovuto rievocare
il rapporto primario fra uomo e paesaggio

Al centro di questo grande villaggio vi sarà una piazza attorno ad un grande teatro all'aperto che sarà costruito sullo stesso stile di quello di Segesta.
Un teatro suggestivo dove Gassman tornerà con le grandi rappresentazioni classiche e dove potrà rappresentarsi il meglio delle sue interpretazioni per fare conoscere al mondo il vero spirito storico e umano della Sicilia"


Il "Punta Fanfalo Village" - che dopo l'inaugurazione venne chiamato dai locali con in nome di "Villaggio Gassman" - si riprometteva insomma di fare di Favignana anche una meta di interesse culturale, legata all'arte di uno dei maggiori attori teatrali e cinematografici italiani.
Il progetto era ambizioso, ed apriva allora nuove prospettive per l'economia delle isole Egadi:




"Il fatto nuovo di questa iniziativa - si legge ancora in "Sicilia Tempo" - è a nostro avviso la scuola turistico-alberghiera, una necessità inderogabile per inserire nella nuova attività dell'Isola gli stessi isolani ed anche per creare le premesse di un turismo non stagionale ma che si sviluppi lungo l'arco dell'intero anno.
Il Village di punta Fanfalo è l'inizio di un nuovo discorso economico per tutte le Egadi e per Favignana in particolare.
Si pone così un'alternativa allo sviluppo delle isole dell'arcipelago, che possono puntare ogni loro possibilità sul turismo.


Altro esempio di architettura del Villaggio,
la cui realizzazione venne indicata
come un punto di partenza 
per il complessivo sviluppo economico delle Egadi 


Si riprendano o non le attività connesse alla gloriosa tonnara Florio, quest'Isola ha ora nuove prospettive più entusiasmanti, più civili verso cui è bene, a nostro avviso, che programmi il suo futuro, non come scelta paternalistica ma con la piena coscienza di chi crede nell'industria del forestiero che è l'unico tipo di industria connaturale a questi paesaggi, alla buona ed ospitale gente di Favignana"


Aspettative e potenzialità rappresentate dal villaggio di Vittorio Gassman, in grado di rinnovare i fasti e le fortune delle attività dei Florio, andarono però deluse.
La società che gestiva la struttura in grado di valorizzare le risorse turistiche di Favignana fallì nel 1986; i mutui bancari necessari al finanziamento dei cantieri non furono onorati e così il "Punta Fanfalo Village" passò in mano al Banco di Sicilia.


Vittorio Gassman e l'impresario teatrale Giuseppe Erba,
principali protagonisti della nascita
del "Punta Fanfalo Village"


Seguirono anni di vendite all'asta e cambi di gestione, culminati nell'acquisto da parte di Carmelo Patti, patron di Valtur: vicende oscure che furono oggetto di indagini da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.
Oggi i turisti che frequentano il villaggio ignorano le vicende del suo progetto e dei lontanissimi giorni in cui Vittorio Gassman ebbe la visione di una Favignana al centro delle cronache teatrali internazionali. 







 

   

        

martedì 16 febbraio 2016

DISEGNI DI SICILIA



GAETANO PORCASI, Strage del pane a Palermo, 2011

IL VOLTO DI TRAPANI IN UN REPORTAGE DEGLI ANNI CINQUANTA

Il decoro  architettonico e le ombre economiche della città nelle pagine del giornalista Flavio Colutta pubblicate da "L'Illustrazione Italiana", nel marzo del 1956


Via dei Sette Dolori, a Trapani,
in una fotografia pubblicata nel marzo del 1956
dalla rivista "L'Illustrazione Italiana".
Le immagini che accompagnarono il reportage
del giornalista Flavio Colutta
sono accreditate all'Ente Provinciale per il Turismo.
Nella didascalia che accompagna lo scatto si legge
"le vie della città vecchia ricordano i carrugi genovesi,
le case sono fatte di un bel tufo dorato"


"Per molti che intendono capire Trapani, la prima impressione è di una città signorile, moderna ( moderna, almeno quanto può esserlo un centro che ha dietro le spalle un bel mucchio di secoli ), generosa di tutte le comodità fatte per la vita spicciola; ma da un lato deludente.
Poi ci si mette in giro, e a poco a poco ci si accorge che la città è semplicemente un incanto.
Tante sono le sorprese, piccole e grosse, che le giornate ne acquistano una grazia particolare.
Niente riesce ad annoiarci"


Via della Giudecca


Nel marzo del 1956 la rivista "L'Illustrazione Italiana" diede conto delle impressioni trapanesi del giornalista e saggista Flavio Colutta in un lungo reportage intitolato "Sale e vino di Trapani".
Il racconto di Colutta - accompagnato dalle fotografie attribuite all'Ente Provinciale per il Turismo - descrisse una città "orgogliosa delle sue case, come lo è in genere di tutte le cose belle del passato" e dal personale carattere architettonico:


"L'architettura che si è svolta qui è un'architettura di muratori anonimi, ma architetti nati, che ha obbedito alla particolare situazione di Trapani, e obbedendole l'ha fatta sua ed umana.
La chiave della pianta della città ericina è nel carattere stesso della città: nella sua stretta area, nella cerchia delle mura che la rinserrano, nella penuria di spazio.


La chiesa di Sant'Agostino
e la fontana di Saturno


Le strade e i vicoli sono per lo più angusti, e le interruzioni frequenti: il tracciato riduce la superfice e sottrae luce e aria.
Ora il cortile, tipico di queste case, è per l'appunto un correttivo alla ristrettezza di spazio.
Ci sono vicoli da tollerare, vicoli scuri, senza colore, che a volte i caldissimi venti del Sud rendono soffocanti, e nei quali il sole scompare prima della sua ora.
Ma c'è l'arioso cortile.
Vi si entra ed è come passare da un lungo crepuscolo all'indimenticabile chiarità della Sicilia.


Operai delle saline


I fiori e le erbe odorosi vi sono largamente coltivati: è infatti nel cortile che si svolge la maggior parte della vita quotidiana.
E' dal cortile che parte la scala per i piani superiori.
E al cortile, ampio e ben arieggiato, si affacciano porte e finestre.
Le stanze di abitazione poi, ben lungi dall'apparire cupe come molte nostre d'oggi, sono chiare ed accoglienti; spesso sono imbiancate a calce; e colori e linee semplici sono l'accompagnamento normale della vita di ogni giorno"


Cantine Florio a Marsala




Agli occhi di Colutta, Trapani era allora ancora segnata dai guasti provocati dal secondo conflitto mondiale e dal declino delle sue storiche attività economiche, legate ai traffici portuali:

"Sullo sfondo di questi illustri muri, venuti su nei tempi andati, vive una città in crisi, ma dotata di una vitalità e intraprendenza che non pensavamo.
Intanto è una delle città siciliane maggiormente provate dalla civiltà ( quella delle macchine ) prima, e dalla guerra poi.
Questo estremo angolo dell'Isola conobbe tempi d'oro.
Una volta, cinquanta o sessanta anni fa, il porto di Trapani era pieno di lavoro.
I più vecchi ricordano ancora il viavai delle navi mercantili che dai lontani Paesi del Nord scaricavano carbone e ne ripartivano, in una gran gloria di sole e di azzurro, piene di vino, cereali e sale marino.
Trapani, allora, in giro per il mondo voleva dire sale, vino e tonni.
Il denaro correva, sulla banchina si vedevano ogni giorno gruppi di commercianti, di proprietari di saline, di agricoltori intenti a contrattare, tra un allegro tintinnio di patacconi d'argento.
Sorgevano nuove industrie, la città si allargava a vista d'occhio, il progresso economico investiva anche le classi meno abbienti, le comodità entravano nelle case degli operai.
Il declino fu rapido, molte e diverse le ragioni.
I guai cominciarono a farsi avanti con la guerra del 1915.
Colpita a morte la tradizionale marineria a vela, messe in crisi le folte schiere di marittimi, ridotte molte delle correnti di esportazione, sconvolti i rapporti economici internazionali, in declino la pesca del tonno e del pesce azzurro, Trapani si trovò a dover fronteggiare, senza che avesse i mezzi per mettervi riparo, situazioni nuove e profondamente sfavorevoli.
A sua volta, l'industria più importante, quella del sale marino, che forniva i principali mercati europei ed extraeuropei, perdette improvvisamente vigore.
L'arretratezza strutturale, la forte concorrenza delle saline estere sorte allora, e la conseguente difficoltà di smaltire tutto il prodotto infersero alla sua economia un colpo durissimo.


I 'Misteri' con la sfilata delle statue
che raffigurano la Passione


Poi fu la guerra, quella del 1940.
E la guerra significò, per questa città economicamente già allo stremo, la rovina.
Trapani subì distruzioni enormi.
Una buona metà delle case vennero colpite da diverse decine fra bombardamenti aerei e massicci cannoneggiamenti navali.
Ci furono centinaia di morti e feriti; oltre settemila vani andarono distrutti, gli impianti idrici ed elettrici, le fognature, le ferrovie, a terra, il porto sconvolto.
Nel giro di poche ore l'intero quartiere San Pietro, uno dei più popolosi della città, fu sventrato, buttato all'aria, poi ridotto a un cumulo di macerie e di calcinacci"


Dopo le distruzioni delle bombe, la città raccontata da Flavio Colutta fu oggetto di una massiccia opera di ricostruzione edilizia:


"Presto gli enormi vuoti del lungomare di ponente vennero coperti da una parata di palazzi che celando alla vista le montagne di macerie davano l'impressione di una città completamente nuova e linda"


Quindi il reportage de "L'Illustrazione Italiana" restituisce il volto sociale della Trapani della metà degli anni Cinquanta, nobilitato dal Museo Pepoli e dalla Biblioteca Fardelliana  ma sostanzialmente chiuso nella sicurezza di una dimensione provinciale, lontano dalle pulsioni anche intellettuali di Palermo e Catania:


"La gente vive soprattutto per il corso, dove avviene il passeggio.
D'inverno ci sono i cinema, le serate al circolo fra partite alle carte e al bigliardo, i veglioni del carnevale, la processione dei 'Misteri' al Venerdì Santo, qualche concerto alla Sala Bassi e nient'altro.
Il Teatro Garibaldi, distrutto dalla guerra, non è più stato ricostruito.
D'estate c'è un po' di movimento: arrivano comitive di turisti trasferitisi nel continente.
La situazione culturale non è molto consolante; si dovrebbe anzi dire che Trapani ha qualcosa in meno di tanti altri centri del Sud.
Le associazioni culturali e le iniziative private sono più scarse che altrove; non esiste, per esempio, un Circolo di Cultura, né c'è, ch'io sappia, un cineclub.
In giro per la città non è molto facile sentir parlare di queste cose.


Una mattanza dei tonni


Ci sono però due istituti, il Museo Pepoli e la Biblioteca Fardelliana, sotto molti aspetti esemplari.
Del Museo ho già detto ( ma vorrei chiedere: quanti trapanesi hanno trovato il tempo di visitarlo? ).
La Biblioteca ha un patrimonio librario notevole - siamo sui centomila volumi - e una bella sala di lettura.
Una rapida inchiesta per le cartolibrerie e le edicole non porta niente di nuovo.
Anche qui i gusti sono gli stessi della media nazionale.
Scarse le vendite di libri ( i romanzi italiani contemporanei sono poco letti; in genere il pubblico chiede i romanzi stranieri, specie americani, che hanno avuto una riduzione cinematografica ) mentre i settimanali a rotocalco si vendono sempre a migliaia, e tra questi il primato è tenuto naturalmente dai 'fumetti'"


Infine, in quel resoconto trapanese della metà degli anni Cinquanta, non manca un'analisi sull'economia alimentata dal turismo ( grazie alle frequentazioni di Erice, Segesta e Selinunte ) e sui chiaroscuri di quella legata all'agricoltura.


Lavorazione del tonno a Favignana


Nel suo reportage, Flavio Colutta fornisce precisi dati sullo stato delle attività agricole, incapaci di distribuire equamente i profitti garantiti dalla ricchezza delle colture a decine di migliaia di braccianti ed operai:




"L'attività più praticata è l'agricoltura, con coltivazioni di grano, fave, pomidori, erbai, vino, olio e allevamenti di suini ed equini.
Predomina la piccolissima proprietà.
I latifondi non sono numerosi: su 43.000 proprietari terrieri, otto soltanto posseggono più di 500 ettari di terreno, e 46 tra i 100 e i 500 ettari.
Ma sono 14.700 i contadini che coltivano meno di un ettaro, 13.260 quelli che ne lavorano da uno a tre, 5730 da tre a cinque, 5880 da cinque a dieci.
In questa situazione, è naturale che la massa dei contadini viva in condizioni mediocri.
E molti sono quelli che conducono una continua lotta con i pochi palmi di terreno, l'asino e l'aratro a chiodo, contro la fame.
Poi c'è il guaio dei braccianti agricoli e della disoccupazione stagionale.
Vi sono nel trapanese 65.000 braccianti, poco meno di un terzo dell'intera popolazione agricola.
L'esistenza che conducono questi uomini è piena di fatiche e di rinunce.
I salari sono bassi, la legge dell'imponibile di mano d'opera non è sempre rispettata, e nei lunghi mesi in cui il lavoro viene a mancare, specie d'inverno, la loro situazione si fa dura.
Nondimeno, come dicevo, qualcosa si muove.




Di grande entità è anzitutto il fatto che balza agli occhi a una prima considerazione: negli ultimi anni la produttività agricola è notevolmente aumentata, fino a toccare, nel 1953, una produzione vendibile di 178.000 lire per ettaro di superfice agraria, contro le 130.000 della media nazionale.
I progressi, per quanto lenti, sono sicuri, e si allargano a ventaglio, giorno per giorno.
Il consumo dei concimi chimici aumenta sensibilmente, ogni anno un poco.
I trattori, che alla fine del 1938 non erano che 134, ora sono più che triplicati.
Fra le industrie, la più importante è quella del vino.
Chi intuì le doti del vino in queste parti fu un inglese, Giovanni Woodhouse.
Le tradizioni del 'marsala' non sono molto antiche, risalgono al 1773.
Ma per circa un secolo e mezzo, il mondo andò a gara nel consumare il vino liquoroso che si produceva a Marsala e nei centri vicini.
I 250 stabilimenti che lavorano il vino sono in crisi dal 1945, o giù di lì.
Tutti sono dominati dal futuro incerto.
E perché?
I gusti sono cambiati e il consumo è paurosamente diminuito, in Italia come all'estero: ormai la gente non beve più tanto 'marsala' come una volta.
C'è la concorrenza spietata delle bevande analcoliche, sorrette da una macchina pubblicitaria formidabile.
Volendo tirare le fila, il quadro generale è dunque quello di un blocco di oltre 400.000 persone che vivono per metà su un'agricoltura in continua ascesa e per un quarto su un'industria in declino.
Le ragioni di preoccupazione e di allarme sono molte; ma, da un lato, sono tante e tante le cose nuove, per cui si può argomentare che la vita ha assunto un ritmo ben più vivace e moderno di sette o otto anni fa..."








 

giovedì 11 febbraio 2016

SICILIANDO














"Parlando delle cose di Sicilia è assai difficile, qualunque sia l'argomento da trattare, non far menzione di mafia, di banditi e di Giuliano.
Se vai a fare una cura alle terme di Sciacca, ti capiterà di incontrare, tranquilli in piazza, gli assassini di Accursio Miraglia; se visiterai la Cappella Palatina e la stanza del grande Ruggero, nel palazzo dei Normanni, ove ha sede il Parlamento siciliano, oltre agli splendidi mosaici, ti potrà magari capitare di vedere una rispettabile comitiva di mafiosi, capeggiata da Don Calò Vizzini, salire sulla macchina di un deputato DC questore dell'Assemblea Regionale"
Pompeo Colajanni, novembre 1949

RICORDO E ATTUALITA' DI CORTILE CASCINO

Il volto non più esistente di un pezzo di Palermo ancora oggi simbolo del mai superato degrado urbano della città

Cortile Cascino, a Palermo, in una fotografia
pubblicata nel dicembre del 1967 dalla rivista "Sicilia Tempo"
 

La fotografia di cortile Cascino riproposta da ReportageSicilia venne pubblicata dalla rivista "Sicilia Tempo" il 30 dicembre del 1967.
Lo scatto illustrò un articolo dal titolo "Impegno del sindaco Bevilacqua per il risanamento di Palermo", nel quale si elencavano gli interventi urbanistici allora necessari ad affrontare i problemi di "centomila palermitani che tuttora vivono nei 'catoi' e nei 'bassi' in condizioni di assoluto sottosviluppo umano e sociale".
La pubblicazione dell'immagine venne seguita da lì a qualche mese dalla demolizione dei fatiscenti edifici del cortile - sgombrato anni prima   e trasformato in deposito  abusivo di vecchi elettrodomestici - e dal trasferimento di circa 140 gruppi familiari negli alloggi popolari della borgata di Falsomiele.
L'esistenza di cortile Cascino e della misera esistenza dei suoi abitanti era stata denunciata da Danilo Dolci nel saggio "Inchiesta a Palermo" ( Einaudi, 1956 ).
Quella pubblicazione scoprì all'Italia del pieno "boom economico" una delle molte sacche nascoste del sottosviluppo siciliano e del Meridione.


A 200 metri dalla magnificenza della Cattedrale, i tuguri del cortile - parte dei quali privi di allacciamento idrico e fognario - ospitavano una comunità disperata di cenciaioli, venditori di ferro, cartonari, piccoli ladri e di donne nel migliore dei casi a servizio di famiglie più fortunate; analfabetismo, malattie della pelle, malnutrizione e tubercolosi segnavano la penosa esistenza di una folla ai margini del vivere civile.
Grazie alla testimonianza di Danilo Dolci, quest'angolo infernale di Palermo venne messo in luce anche a livello internazionale.
Prima l'inglese BBC dedicò al cortile Cascino alcune scene di un documentario sulle condizioni della Sicilia; nel 1960 poi il giornalista americano della NBC Robert Young dedicò allo 'slum' palermitano un cortometraggio di 45 minuti da alcuni critici considerato come uno dei primi esempi di "cinema-verità".


Quel documentario - una drammatica e scomoda rappresentazione degli squilibri economici e sociali italiani, imperniata sulle vicende della famiglia Capra - venne escluso da qualsiasi circuito di programmazione, negli Stati Uniti ed in Europa.
Il lavoro di Young sarebbe stato recuperato quasi trent'anni dopo solo grazie ad un fortunoso incontro a Padova fra il giornalista e alcuni docenti universitari palermitani; una copia di "Cortile Cascino" venne così mostrata per la prima volta il 2 agosto del 1988 alla città su iniziativa del Comune di Palermo.


Nel 2005, alcuni stralci del documentario di Robert Young furono infine inclusi da Ciprì e Maresco in "Viva Palermo e Santa Rosalia", a ricordare i cronici ritardi di risanamento che affliggono ancor oggi il centro storico ed alcune periferie urbane.
  
   

sabato 6 febbraio 2016

FORME E SIMBOLI DEGLI STAMPINI PER LA COTOGNATA

Una pagina dell'etnografo Antonino Uccello sulle origini e sui motivi decorativi delle antiche  formelle di terracotta
Antiche formelle in terracotta per la cotognata.
Le fotografie del post sono tratte dall'opera
"Antonino Uccello, Casa Museo di Palazzolo Acreide",
edita nel 2001 dall'Assessorato Regionale Beni Culturali
della Regione Siciliana


Gli ultimi più vecchi esemplari si trovano a caro prezzo sulle bancarelle dei mercatini antiquari; quelli di produzione più recente, invece, si possono comprare a pochi euro in molte botteghe dei moderni ceramisti dell'isola.
Le formelle di terracotta per la cotognata evocano in ogni caso il ricordo degli usi e dei costumi della società agricola siciliana, capace un tempo di sostentarsi - spesso per necessità - grazie al consumo dei prodotti della propria terra. 
La raccolta delle melecotogne, ad esempio, si ripeteva ogni anno dopo le prime piogge agostane.
Quelle piccole, ancora acerbe e maculate di giallastro, venivano scelte per produrre un dolce da portare a tavola nei giorni di festa: la cotognata.
La preparazione era semplice e poco dispendiosa.
I frutti si mettevano a bollire in una pentola di acqua, quindi si sbucciavano e si liberavano dei torsoli.
Passata al setaccio, la polpa veniva mescolata a una dose di zucchero pari al suo stesso peso; il tutto,veniva impastato sino a formare un composto denso e dorato.
Dopo una bollitura di un paio di minuti, la cotognata veniva versata nelle formelle di terracotta sino a raffreddarsi.  
Oggi gli stampini di questa specialità dolciaria non si conservano più nei cassetti delle cucine ed il loro utilizzo è perlopiù di tipo decorativo.


A ricordare le origini di questi oggetti fu un testo dell'etnografo siracusano Antonino Uccello ( 1922-1979 ) intitolato "La cotognata dolce d'autunno" pubblicato sulla rivista mensile "Sicilia" edita sino agli Ottanta da Flaccovio a Palermo:

"Il primo documento su queste forme di terracotta risale al 1779, e fu portato alla luce dall'infaticabile Antonino Ragona.
Si tratta di un singolare ricorso fatto dal maestro maiolicaro di Caltagirone, Vito Blandini, al Vescovo di Siracusa, tendente a ottenere giustizia contro le prepotenze che il sacerdote Salvatore Panacia, della città di Vittoria, aveva perpetrato contro il vecchio padre del Blandini per una fornitura di mattonelle per la pavimentazione di un salone.
Il muratore chiamato dal Panacia per la messa in opera delle mattonelle, per imperizia ne ruppe 150, sicchè il maiolicaro caltagironese fu costretto a fornirgli le mattonelle ch'erano andate rotte, e altre ancora ne dovette rifare senza alcun compenso.
Il Blandini, nel recarsi a Vittoria per la consegna del materiale, 'sulla certa speranza di ottenere il prezzo dei mattoni rotti', portò in regalo al Panacia 'trenta forme di bianco, cioè trenta formelle per mostarda e cotognata smaltate in bianco.
Ma a nulla valse, chè il povero Blandini, giunto a Vittoria, ebbe fermati da parte del prete i muli e venne privato di alcuni indumenti personali per 'prestar mallevaria'.
Non sappiamo come andò a finire la controversia, ma certo il documento ci fornisce tra l'altro una data precisa, l'anno 1799, epoca in cui queste formelle dovevano avere larga diffusione.
D'altronde ogni famiglia in Sicilia ha avuto sempre il suo corredo di formelle di terracotta che venivano utilizzate puntualmente a ogni autunno: erano i venditori di stoviglie che venivano a venderle nelle fiere in occasione di sagre paesane.


La varietà dei motivi rilevati nella terracotta è sorprendente.
A parte le grandi forme con l'agnello pasquale o coi santi patroni e protettori - ad esempio, Sant'Agata - di solito esse sono piuttosto piccole, fino a raggiungere l'ovale di un guscio d'uovo con dei rilievi sottili che acquistano nella cotognata la preziosità dei vecchi spilloni d'oro.
A volte vi sono incise immagini di santi: San Paolo, San Francesco di Paola, la Madonna, la Sacra Famiglia, la natività: vi si trovano immagini di vita vissuta: la donna che fila, il cacciatore, il contadino al lavoro; oppure fiori, rosoni, cuori, pesci, frutta di vario genere, strumenti musicali, stemmi gentilizi, o di città, o di ordini religiosi, o di confraternite; oppure scritte augurali o rivolte alla persona amata: 'Amore', 'Ti amo', 'Salute', 'Sincerità', 'Maria', 'Giuseppe', etc."
  

mercoledì 3 febbraio 2016

LE FOTOGRAFIE DI VERGA PUBBLICATE DALLA RIVISTA "IL DRAMMA"

Quattro scatti siciliani eseguiti dallo scrittore di Vizzini fra il 1870 ed il 1910 e pubblicati per la prima volta nel 1972 a corredo di un saggio di Leonardo Sciascia 
 
La piazza della chiesa di Santa Teresa a Vizzini,
che fa da sfondo alla "Cavalleria Rusticana"
e ad altre storie verghiane.
Le fotografie dello scrittore catanese
sono tratte dalla rivista "Il Dramma"
pubblicata nell'aprile del 1972
 ed illustrarono un saggio di Leonardo Sciascia
 dedicato alla novella "La chiave d'oro"

 
Fu nel 1966 che il ricercatore catanese  Giovanni Garra Agosta scoprì a Vizzini in una soffitta di casa Verga 327 lastre in vetro e 121 fotogrammi in celluloide frutto dell'estro fotografico dello scrittore de "I Malavoglia" e "Mastro Don Gesualdo".
Il ritrovamento rilanciò le attenzioni sull'opera verghiana e svelò per la prima volta le immagini di quel mondo letterario descritto nelle pagine delle novelle e dei romanzi dello scrittore: i paesaggi della campagna catanese e soprattutto i personaggi di quell'ambiente, contadini e borghesi della società agraria isolana di fine Ottocento.
 
 
In quegli scatti - sottolineò anni dopo lo scrittore e saggista Enzo Siciliano - si notano
 
"le donne un po' goffe dentro sete fruscianti e spiegazzate, i riccioli cadenti sulla fronte e il resto dei capelli strettamente legati sulla nuca: e gli uomini accigliati.
Se queste immagini sono un contributo alla conoscenza dello scrittore, lo sono a livello di cronaca: ci dicono della vita quotidiana di Verga assai più di quel che ci dicesse il suo avaro e talvolta sciatto epistolario..."
 
Le fotografie ora riproposte da ReportageSicilia furono pubblicate per la prima volta dalla rivista mensile "Il Dramma", nell'aprile del 1972.
 
 
Le immagini corredarono un saggio di Leonardo Sciascia dedicato alla novella verghiana "La chiave d'oro", "tra le novelle di Verga - suggerì lo scrittore - una delle più belle e delle meno conosciute".
Dopo quella pubblicazione, le quattro fotografie furono incluse tra quelle partecipanti ad una mostra itinerante che toccò varie città italiane.
 
 
Nel 1991, Giovanni Garra Agosta e Wladimiro Settimelli pubblicarono l'intero corpo di scatti  nel volume "Verga fotografo" ( Maimone ); nel 2005, infine, l'archivio venne donato da Giovanni Garra Agosta al Foto Museo Immaginario Verghiano di Vizzini https://www.facebook.com/media/set/?set=a.386577161412836.82746.365706333499919&type=3