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sabato 12 marzo 2016

BABBIO, APATIA E SFRAZZI DEI PALERMITANI DI ENRICO RAGUSA

Ritratto dei vizi e dei costumi cittadini in una pagina della "Guida umoristica", pubblicata a Palermo nel 1948

I Quattro Canti di Palermo
in una fotografia di  M. Bernard Aury
pubblicata nell'opera di Pierre Sébilleau "La Sicilia",
edita da Cappelli Editore nel 1968

Enrico Ragusa ( 1905-1990 ) è uno degli scrittori isolani del XX secolo oggi quasi ignorati dai lettori siciliani.
Figlio di un entomologo e naturalista noto anche per avere fondato a Palermo il Grand Hotel et des Palmes, Ragusa descrisse con estro sarcastico ed ironia personaggi e luoghi della città negli anni precedenti e successivi al secondo conflitto mondiale.
La lettura di quel libretto offre un ritratto scanzonato e per nulla convenzionale dei protagonisti della vita palermitana in un periodo di profonde trasformazioni sociali del capoluogo dell'isola.
Le pagine di Ragusa offrono uno spaccato singolare delle vicende cittadine, attraverso la presentazione di presidenti ed assessori della neonata Regione Siciliana ( la 'Grande Compagnia di Uomini Politici Siciliani' ) , imprenditori, commercianti, avvocati, notai ed altri noti e meno ricordati animatori della scena palermitana.
L'ironia di Enrico Ragusa non risparmiò neppure la propria opera editoriale:

"La più importante Casa Editrice d'Italia ha sede pure in Palermo, 'La Voce del Mondo', fondata nel 1932 da Enrico Ragusa, che la dirige e con l'unico scopo di pubblicare le opere di Enrico Ragusa.
Con regolare atto notorio, recentemente è stato nominato cassiere di questa Casa Editrice il Sign. Salvatore Giuliano, inteso Turiddu e domiciliato a Montelepre, dove pure ha sede la Cassa.
Tutti i fornitori de 'La Voce del Mondo' nonchè tutti i creditori personali del fondatore e direttore possono rivolgersi direttamente al cassiere per il saldo dei loro crediti.
Portare le pezze di appoggio"

  

In "Guida Umoristica di Palermo" edita da La Voce sul Mondo nel 1948 - ristampata nel 2002 da Dario Flaccovio Editore - Enrico Ragusa dava quindi conto di certi diffusi cognomi palermitani:

"A Palermo abbondano i Leone, i Pecora, gli Agnello, i Cane, i Gallina, i Lepre, i Gatto, i Coniglio e molti altri animali feroci e domestici.
Esisteva un terribile Lupo, ma io lo ho ammansito così, come San Francesco d'Assisi ammansì il Lupo di Gubbio; e credo che non vi sia persona più gentile e garbata del mio Lupo, il Dott. Paolo Lupo, mio carissimo compagno di scuola, per il quale però consiglio ad ogni mosca di non andargli sul naso"

Nella sua guida - arricchita da 235 disegni di Guido PignatoRagusa diede nome e cognome a concittadini di ogni ceto sociale: dal semplice cameriere di un bar al vecchio notabile frequentatore dei salotti della politica cittadina.
Certe loro abitudini comuni indicano ancor oggi una certa persistente identità palermitana:   

"Parlerò soltanto degli usi e costumi più notevoli.
La puntualità, prima dote dei siciliani e dei palermitani specialmente, per cui gli appuntamenti sono dati con un'elasticità di una o più ore.
Esempio, 'vediamoci domani, dalle 15 alle 16; oppure dalle 17 alle 18'.
Il palermitano, e particolarmente la palermitana, credono molto elegante arrivare in ritardo; a teatro, alle conferenze, alle visite, ovunque, e perfino negli affari; cosicchè se meravigliati vedrete arrivare un tale che vi aveva dato appuntamento alle due e giunge invece alle quattro, sbalordirete maggiormente quando sorridente egli vi dirà, 'lo vedi, sono venuto'.


I palermitani sono per temperamento caratteristico apatici ed indolenti ed amano il lavoro sino ad un certo punto; nelle classi operaie il lavoro che da tutti si preferisce è lo sciopero retribuito.
Più indolente al lavoro del palermitano rimane però il napoletano, unico al mondo che chiami il lavoro 'la fatica'.
Altra prerogativa del cittadino di Palermo è lo 'sfrazzo' ( sfarzo ) ossia un modo convenzionale di giudicare tutto e tutti dall'alto in basso, con alterigia e superiorità, dando all'oggetto della critica un valore dispregiativo e spesso diffamatore e calunniatore.
Una specialità del palermitano è il 'babbìo', forma machiavellica di saper vivere con cui l'uomo si impegna senza impegnarsi, promette deciso a non mantenere, paga col 'tappo' e tira a campare con il minimo della compromissione.
I palermitani adorano poi il 'curtigghiu' ( cortile ) anche coloro i quali appartengono alle classi superiori, ed è costituito questo bel divertimento nella più ampia revisione dei fatti altrui, con particolare passioncella per le corna degli altri, che sono però rarissime" 

 

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