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venerdì 18 settembre 2015

I LEGGENDARI PARACADUTISTI DI CACCAMO

Il racconto di una spericolata evasione dal castello nei primi anni del secolo XVII nella narrazione del giornalista e scrittore Franz Maria D'Asaro

La rocca ed il castello di Caccamo.
Fotografia di ReportageSicilia

Quello palermitano di Caccamo è uno dei castelli più grandi e meglio conservati dell'isola; la sua costruzione non è attestata con certezza prima del 1203, quando il paese, allora feudo di un Paolo Cicala conte di Collesano, veniva descritto come "terra et castellum".
"L'attuale imponente aspetto del castello - ha scritto lo studioso Ferdinando Maurici in "Castelli medievali in Sicilia" ( Sellerio, 1992 )  - è dovuto alle continue modifiche, ampliamenti e restauri succedutisi nel corso dei secoli. L'identificazione di parti murarie o elementi dell'originario castello normanno appare estremamente problematica".
L'interesse per questo magnifico fortilizio, tuttavia, non è solo alimentato dalla complessità delle sue vicende architettoniche.
Come per tutti i castelli dalla storia secolare, anche quello di Caccamo vanta infatti leggende ed episodi al confine incerto fra voce popolare e realtà.
Una di questi episodi vuole addirittura che l'edificio sia stato il luogo in cui è stato sperimentato un primo rudimentale tentativo di lancio con il paracadute.
La circostanza, riferita al racconto di un vecchio guardiano del castello, venne così ricordata nel 1979 dal giornalista e saggista Franz Maria D'Asaro:

"Giuseppe La Rosa, erudito guardiano ed amabile cicerone del castello di Caccamo,- scrisse D'Asaro in "C'era una volta la Sicilia" ( Edizione Thule ) - contesta tutte le enciclopedie e sfida gli storici di tutto il mondo: il paracadute è stato inventato qui, nelle tetre celle di questa fortezza - 521 metri sul livello del mare - che domina la valle del torrente San Leonardo.

Il castello in una fotografia di Ezio Quiresi.
L'immagine venne pubblicata nel I volume dell'opera "Sicilia",
edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini

Fu inventato qui, del tutto occasionalmente, come per tante invenzioni, da due poveri disgraziati che nulla potevano sapere, né dei disegni alati di Leonardo, né che gli antichi cinesi si dilettavano a venir giù da alberi e rocce con grandi ombrelli costruiti in carta e bambù, né che qualche hanno prima della loro disperata impresa F. Venanzio da Sebenico aveva ideato nel 1595 un paracadute a calotta che soltanto due secoli dopo ( 1797 ) sarebbe stato realizzato dal francese A.J.Garnerin.
Scrupoloso cronista, quasi redivivo testimone dell'impresa, Giuseppe La Rosa racconta senza la minima incertezza che tutto accadde nel 1600, allorché due prigionieri - dominatori di turno della fortezza, dopo i saraceni ed i normanni, erano gli spagnoli - ormai convinti dell'impossibilità di ogni tentativo di evasione, ma fermamente decisi a conquistare la libertà, pensarono di affidare le loro sventurate esistenze ad un progetto folle: in una giornata di vento ciascuno si sarebbe afferrato alle quattro estremità di una grande tela quadrata ( forse lenzuoli introdotti da complici esterni ) lanciandosi da una delle 365 aperture del castello ( ogni apertura corrisponde a un giorno dell'anno ), con la speranza di riuscire a planare nella grande vallata, guadagnare la campagna e dileguarsi.

Un immagine d'inizio Novecento del castello.
La fotografia è tratta dall'opera "Sicilia"
edita nel 1933 dal TCI per la collana "Attraverso l'Italia"

Venne finalmente la giornata adatta e i due prigionieri attesero il momento propizio per l'incredibile salto: si lanciarono nel vuoto attaccati a quelle vele precarie, ma una sola riuscì a gonfiarsi di vento e a trascinare a valle il temerario fuggiasco che, però, nell'atterraggio si slogò una caviglia e fu preda facilissima per il drappello spagnolo precipitatosi all'inseguimento non appena alla fortezza si erano accorti - è facile immaginare con quale stupefazione - dell'ingegnosa fuga.
Per l'altro nessun problema: si era sfracellato sulle rocce sottostanti.
Il superstite fu riportato al castello e già ci si preparava all'eccitante spettacolo della forca - un diversivo molto gradito per gli annoiati signori di quel tempo che venivano regolarmente invitati a questo genere di 'feste' - ma il comandante della fortezza, ammirato da tanta audacia, graziò il prigioniero per due ragioni: per il coraggio, esaltato anche dalla tragica fine del suo sfortunato compagno, e per aver inventato il paracadute..." 

  

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