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domenica 19 luglio 2015

RICORDO DI UNA DOMENICA DI LUGLIO DEL 1992

La traumatica prima giornata d'estate per migliaia di palermitani nel giorno dell'attentato a Paolo Borsellino

Il 19 luglio del 1992 in via D'Amelio, a Palermo.
Le fotografie del post sono tratte dal saggio
"Magistrati in Sicilia, interventi pubblici
di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a Palermo",
edito nel 1992 da ILA Palma
a cura di M.Bartoccelli, C.Mirto e A.Pomar

Anche il 19 luglio del 1992 era una domenica.
Ricordo che fu la prima domenica davvero estiva di quell'anno a Palermo, finalmente con  un cielo senza traccia di nuvole e con una temperatura perfetta per andare al mare.
Quasi per un esodo naturale, quel giorno la città si svuotò. 
I palermitani si riversarono fra Mondello e gli altri luoghi che danno conforto al desiderio di un bagno, magari a poca distanza dal proprio "villino", dalla costa di Balestrate a quella di Cefalù.
Per molti giornalisti, poi, quella domenica fu la prima giornata di relax dopo settimane di un impegno professionale che ancor oggi segna il loro vissuto personale.
Il 23 maggio, la strage di Capaci era stato un evento che aveva misurato la capacità di raccontare una Palermo sconvolta dall'attentato e ribollente di tensioni.
La catena di fatti che avevano seguito l'eccidio di Giovanni Falcone era stata convulsa: l'emozione e le proteste contro i politici durante i funerali, il dolore dei familiari e dei colleghi dei tre agenti della scorta uccisi, le manifestazioni di impegno civile di migliaia di palermitani; l'attesa per i risultati delle indagini sulla strage ed i timori di nuovi attentati, rilanciati da un tam tam di voci istituzionali e non. 
Quella magnifica e balneare domenica di luglio sembrava avere finalmente spezzato il clima frenetico di eventi e di paure.
Come tanti altri colleghi palermitani, anch'io decisi di concentrare altrove i pensieri.



Con la mia Renault 5, di buon ora, raggiunsi la spiaggia di San Vito Lo Capo, che a poco a poco si affollò di bagnanti.
Ricordo che fu una bellissima mattinata di sole e di mare cristallino.
Nel pomeriggio, mentre passeggiavo in una strada del paese, vidi uscire dal portone di una palazzina un uomo in canottiera.
Parlava da solo, camminando a passi lenti e sbandati.
Mi avvicinai curioso, e gli sentì ripetere una frase che mi colpì come una sassata:

"un altro attentato a Palermo, un altro attentato a Palermo..."
 
Senza chiedergli alcuna spiegazione, cercai subito la Renault parcheggiata in una traversa vicina per tornare a Palermo
Come me, tanti altri guidatori di auto e camper con la targa "PA" cui era arrivata voce dell'accaduto fecero la stessa cosa.
In pochi minuti, l'unica tortuosa strada di collegamento fra San Vito Lo Capo e l'autostrada fu così congestionata dal traffico di una domenica improvvisamente diventata maledetta.
Solo dopo parecchi chilometri fra ripide colline l'autoradio della Renault riuscì a sintonizzarsi con la frequenza di un giornale radio; fu così che seppi che l'attentato aveva ucciso in via D'Amelio Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
Più tardi, appresi che anche Borsellino, quella domenica, come tanti altri palermitani aveva deciso di trascorre una giornata al mare, a Villagrazia di Carini, con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia.
La mattina dopo, all'alba, con l'operatore di TRM - televisione per la quale allora lavoravo - girai in via D'Amelio le scene più sconvolgenti della mia carriera da giornalista.
Incredibilmente, nessuno vietò alla nostra troupe e ad alcuni fotografi di aggirarsi fra le auto devastate dall'esplosivo; i poliziotti, intanto, cercavano ancora fra i rottami  i resti dilaniati delle vittime.



Sotto quanto rimaneva di una delle Croma della scorta di Borsellino, scorsi una scarpa da tennis dalla quale spuntava un brandello di osso.
Avvisai con sgomento una funzionaria di polizia. 
In borghese, stava regolando il via vai di una processione di persone con valige e sacchi riempiti di oggetti domestici: erano i condomini dagli appartamenti del palazzo abitato dalla madre del magistrato, anch'esso devastato dall'attentato.
Mi sono sempre chiesto quante persone, prima di me, abbiano avuto modo di girare indisturbati in via D'Amelio fra i tanti reperti sparsi in strada dall'esplosione ( a cominciare dalla famosa agenda rossa di Paolo Borsellino ). 
Oggi, a distanza di 23 anni da quella strage, le celebrazioni palermitane vivono un clima mai così avvelenato da polemiche e da sospetti, segno della debolezza, delle rivalità e delle ambiguità di un fragilissimo fronte dell'antimafia.
Le parole severe ed accorate di Manfredi Borsellino sul travaglio vissuto dalla sorella Lucia nella sua traumatica esperienza da assessore regionale alla Sanità indicano la perdurante opacità della società siciliana.
Sul fronte giudiziario, poi, la possibilità stessa di poter scrivere la verità sulla strage Borsellino pare segnata da un ineludibile destino.
Valgono per tutte le considerazioni espresse da Enrico Deaglio ( "il Venerdì" de "la Repubblica", 17 luglio 2015 ):
 
"Il 19 luglio 1992 è una delle date tragiche della storia moderna italiana, quando vennero uccisi, nella sconosciuta via D'Amelio a Palermo, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta di cinque poliziotti.
Da allora si contano ventitré 19 lugli.
Nel primo, ai funerali della scorta, scoppiò la rabbia della polizia palermitana e il presidente Scalfaro venne aggredito sotto le navate della cattedrale di Palermo.
Nel 1993, un corteo commosso si mescolava alle notizie di bombe a Roma, a Milano, a Firenze.
Ma almeno Riina era stato arrestato, Cosa Nostra alle corde e anche l'assassino di Borsellino aveva un nome.
Poi, in un'Italia cambiata, il '19 luglio' divenne anno dopo anno più triste, più piccolo, più inutile; fino all'ultima fase.
Da qualche anno il '19 luglio' è diventato di nuovo rancoroso e nervoso, con magistrati che accusano lo Stato ( di cui fanno parte ) di collusione con la mafia, tra agende rosse sventolate come simbolo, comizi politici e surreali, attacchi al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, accusato di 'sapere', di 'coprire', di 'interferire', di 'tramare'.
La verità - ormai tuti l'hanno capito - non arriverà.
La morte di Borsellino sta nello scaffale della nostra memoria vicino a troppi altri misteri e svanirà, come per tutti gli altri, per inerzia..."



   
  

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