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mercoledì 10 giugno 2015

VIAGGIO ISOLANO TRA GLI ANIMOSI VINI SICILIANI

Vecchie impressioni enologiche in un reportage del giornalista e scrittore Flavio Colutta, autore nel 1972 per Longanesi del saggio "Guida alle bottiglie d'Italia"


Bottiglie di vino siciliano dei nostri giorni.
La fotografia è di ReportageSicilia.
L'autore ringrazia per la collaborazione al post
 l'Enoteca "Il Grappolo" di via R.Malatesta 64, a Roma

Secondo il giornalista e scrittore Stefano Malatesta, fra i "residui arcaici" che la Sicilia ha cancellato negli anni Novanta vi è stato quello del vino di cattiva qualità; argomento che, in passato, ha orientato negativamente gran parte dei giudizi di enologi e bevitori dinanzi alle bottiglie di produzione isolana.
La questione è stata così illustrata da Malatesta nel saggio "La pescatrice del Platani e altri imprevisti siciliani" ( Neri Pozza, 2011 ):

"Inutilmente ad alta gradazione alcolica troppo pesante, troppo denso, troppo liquoroso, troppo profumato, eccessivo in tutto e inadatto ad un palato moderno, ( il vino siciliano, ndr ) aveva tutte le caratteristiche del fossile vivente...
Nel lontano passato erano state queste sue caratteristiche di ruvidezza e di grossolanità ad averlo reso famoso, impedendogli di trasformarsi subito in aceto, come faceva la maggior parte dei vini antichi...
Il vino aveva il potere di annullare quasi tutto l'aspetto gastrointestinale dei pasti, di far dimenticare la necessità biologica di rifornire continuamente la macchina umana.
E i cibi, sospinti da quella irrequietezza degli umani che tendono a trasformare tutto in mito, si alzavano dalla tavola e s'involavano come mongolfiere.


Sopra e sotto, i vini di Sicilia
secondo il saggio di Colutta,
pubblicato 43 anni fa 

Ma in Sicilia, un'isola particolarmente adatta per impiantare vigne, si continuava a produrre il vino di sempre, che veniva esportato a prezzi ridicoli come vino da taglio e sbarcato a Sete, un porto della Francia meridionale, insieme ai vini pugliesi e maghrebini.
Da qui, prendeva la strada delle cantine dei grandi Bordeaux, dove finiva per diventare una componente essenziale dei grandi crus, straordinari per gusto, retrogusto e tutto il resto...
I primi segni di un cambiamento cominciarono ad essere avvertiti dodici o quindici anni fa, non sarei troppo sicuro sulle date.
stavo andando da Palermo a Sciacca, lungo la strada di fondovalle che per costruirla ci sono voluti trent'anni, grossomodo lo stesso tempo impiegato dagli antichi egiziani per tirare su la Piramide di Cheope e con minore spesa.



Arrivati al bivio di Sambuca, mi ero accorto che l'abituale giallo, il colore che nell'isola faceva da fondale al paesaggio, era scomparso lasciando posto al verde...
I campi ben tenuti, l'orto dietro la casa, il piccolo vigneto al fianco, stavano a dimostrare che anche in Sicilia esisteva una cultura contadina di grado elevato, che tentava di non aspettare solo provvidenze, ma di vivere con i prodotti della terra, anche a rischio di grandi sacrifici..."



Del carattere forte del vino siciliano, della sua storia e delle sue varietà di quarant'anni fa scrisse diffusamente il giornalista Flavio Colutta, autore di un libro intitolato "Guida alle bottiglie d'Italia" ( Longanesi, 1972 ). 
Il saggio di Colutta - in precedenza autore di numerosi reportage nell'isola pubblicati dalla rivista "le Vie d'Italia" del TCI - è oggi un'interessante documento su caratteristiche e qualità dei vini siciliani del tempo.
Alcuni non vengono più prodotti ( forse senza troppi rimpianti ); altri, invece, hanno beneficiato di quei miglioramenti qualitativi che li pongono oggi alle attenzioni dei cultori del buon bere.
Le pagine di Colutta - insieme alle notizie mitologiche sulla diffusione dei vitigni locali ( "una leggenda ellenica parla di un Bacco adolescente, in cammino attraverso la terra sicula. A un certo punto il dio giovinetto si ferma, accasciato sotto il sole, in un luogo che ha nome Naxos, non lontano da Taormina. Per ristorarlo, miracolosamente spunta la prima vite, dai grappoli si strugge l'esilarante bevanda; quella bevanda che, nella grande estate della civiltà ellenica, avrebbe stupito i colonizzatori di oltre Ionio. Così, il primo documento sulla coltura della vite in Sicilia - un bel grappolo d'uva - appare nelle monete di Nasso, la più antica colonia greca nell'isola..." )- si fanno leggere con gusto anche perché contengono notazioni e considerazioni su persone, luoghi e umori siciliani negli anni Settanta: nel post, ReportageSicilia ripropone stralci di quel viaggio enologico e alcune fotografie di bottiglie allora segnalate dal giornalista.


Sopra e nelle fotografia che seguono,
sette etichette di vini prodotti nell'isola
pubblicate nella guida di Colutta


"Seguendo la costa verso il Faro - scrisse Colutta dando inizio al suo viaggio da Messina - davanti al mare blu dello Stretto sempre decorato di spume bianche agitate dalle furie del vento, traverserete le contrade collinose a cui è legato il faro rosso: un vino color rubino, asciutto, profumato, dal gusto sapido, generoso, degnissimo con gli arrosti e la cacciagione.
La principale ragione del nostro sostare a Milazzo, sulla strada di Palermo, per un giorno, fu un vino del posto, il milazzo bianco.
Avevamo nel corpo la gravezza del pescespada a ghiotta, in salsa di cipolla e pomodoro con contorno di patate, olive, capperi, sedano.
Nella bella sera siciliana il pesce fu sopraffatto da quel vino portentoso.
Seduti sotto le prime stelle, contemplavamo le Eolie, alte, velate dalle nubi della sera.
L'indomani eravamo là, sulle isole del vento e del fuoco, per guastare quella loro dolcissima malvasia...



Gli isolani seguitano a produrla con buona tecnica. Ci dissero che le uve sono essiccate parte sulla pianta parte sui graticci che la notte vengono ricoverati sotto delle tettoie.
Il mosto quindi viene fatto fermentare entro piccole botti, chiamate pipe, dove poi si conserva. L'imbottigliamento avviene dopo un anno".
Ricordato anche il mamertino di Castroreale Bagni ( "a Giulio Cesare, che lo ricorda nelle Epistole, piaceva berlo specialmente nei banchetti ufficiali. Se hai la fortuna di mettere le mani su una bottiglia, nulla di meglio per disporre le ore della notte, dopo una lauta cena" ), Flavio Colutta si sposta in provincia di Catania, oggi prolifica di preziosi vitigni.
Qui - nell'apoteosi etilica di una fornita cantina - le bottiglie si incrociarono con i palazzi barocchi e con i paladini di un puparo:

"I vini sono fatti con le uve della zona media dell'Etna, da Biancavilla a Paternò, a Nicolosi, ad Acireale, a Giarre, fino a Linguaglossa, a Castiglione, a Randazzo.
La prima bottiglia con la quale ci incontrammo fu di un etna bianco.
E' una bevanda di molte virtù, di un bellissimo color giallo paglierino, di delicato profumo, sapore secco, campione da pasto e da pesce.
Nella stessa zona si producono anche altri bianchi: il ciclopi, il ragalma, lo sparviero, il villagrande.
Essi ci rimango associati nel ricordo a una serata passata in casa di un amico, Turi Pistarà di Acireale, città di vita nobile nota per il bel barocco siciliano: un signore che aveva radunato in casa sua in nostro onore un coro di gente per farci ascoltare le storie di re e di guerrieri del più celebre burattinaio siciliano, Oreste Macrì.



E il nostro amico con una premura unica andava e veniva, portando sempre nuove bottiglie a noi e al burattinaio, magnificando quella sua terra, quei suoi vini che riandavano l'opulenza luminosa della vendemmia su per le pendici dell'Etna.
Ma poi si fini tutti quanti in cantina, e la moglie del nostro ospite era scesa tra noi, a offrire olive e etna rosso ( c'è anche un tipo rosato ), secco e gustoso, un vino da arrosti che può competere con i migliori succhi europei"

Visitando il siracusano, Colutta non manca di notare "il raptus industriale piombato sulla provincia", conseguenza del pesante innesto territoriale dell'industria chimica e petrolchimica ad Augusta.
In altre zone, invece, rimane l'aspetto di una "Sicilia sassosa, una pianura ondulata e avara che ricorda la Terrasanta", e dove i vigneti continuano a ricoprire la valle del fiume Anapo.
Qui, si produce un vino da pasto bianco, "destinato ad antipasti, piatti freddi, frutti di mare, ostriche, e che provoca uno straordinario sviluppo del buonumore".



Siracusa è invece la patria del moscato albanello e naccarella, "erede diretto del pollio dei greci antichi, un signor vino dal color dell'oro antico, forte, delizioso, profumatissimo, di sapore dolce, gradevole, in cui vanno annegati con delizia, dolci, gelati e frutta, non certo i formaggi".
Colutta spiega così il metodo di produzione:
"Qui si aspetta, per la vendemmia, che gli acini quasi diventino vizzi, pieni non più di un liquido, ma di una pasta zuccherina.
Quindi il mosto viene messo a fermentare dentro piccoli fusti, che ricordano le antichissime anfore greche".
A Pachino, la scelta va dall'eloro, "generoso, ricco, caldo, di un esemplare rosso rubino, vino regale" ed il pachino, "rosso pure lui, vino non da bottiglia o da boccale, ma da taglio, una specie di barletta forte e ruggente, asciutto, lievemente profumato, sui 17 gradi, signori miei, una bevanda per uomini veri".
Noto è il luogo dove barocco e pasticceria offrono esempi di gusto nobiliare; il moscato locale non è da meno, visto che Colutta lo definisce "vino meraviglioso, che riscalda la schiena, dal colore di un bel giallo oro, con riflessi madreperlacei. Profuma di mandorlo in fiore e di zagara d'arancio. Il gusto è sapido e vellutato. Lentamente bevendolo, confessammo che aveva un che di festivo e di sacro, di giardini e di mare. Fu allora che uno dei presenti, cortese amico, mescendone dell'altro, ci disse che lo fanno diversamente dal moscato di Marsala. L'uva viene raccolta subito, ancora fragrante e veemente di gioventù. Poi si passa alla fermentazione. A un dato momento, la arrestano, secondo un'antica legge, con l'aggiunta di alcool di vino. Il processo di maturazione continua in botte per alcuni mesi. Ma è bene che il vino venga imbottigliato entro l'anno. E l'amico, bevendo, si illuminò"

Terra deserta e cielo, e provincia della città greco-romana di Camarina, dove le monete di bronzo venivano coniate con l'incisione di grappoli d'uva, segno della millenaria presenza di vigne sugli Iblei: Ragusa ha nell'ambrato di Comiso "dal colore ambrato con preziosi riflessi d'oro e miele, corposo, di grado cospicuo, 14 e anche più, una nobile ambrosia che usa come avanguardia degli antipasti".



La vigne del cerasuolo dominano però la produzione del ragusano, "un succo rosato carico, tendente a un rosso tenue, una tinta da far inebriare l'occhio di chi di vini se ne intende. il bello è che subito che si sia fermentato, questo cerasuolo ha la proprietà di acquistare un delizioso profumo di frutta. E non è finita con le sorprese. Bastano pochi mesi di botte, perchè riveli quel certo bouquet che è una caratteristica dei rossi vecchi d'anni.
Con gli arrosti - conclude Colutta - è una scelta felice, lo giuro"

Ad Enna, un cameriere stappò una bottiglia di val di lupo, unico vino all'epoca prodotto in quella provincia che già da allora, secondo Colutta, "è stata chiamata la capitale dell'Italia depressa".
"Le vigne crescono sulle colline a nord di Enna, tra Leonforte e Calascibetta. Il vino che questi grappoli sprizzano, parliamo del nero, è un succo da pasto dall'aroma vinoso, e dal bouquet tenue e caratteristico. Bellissimo anche il rosato, che si distingue per il colore ambrato, il profumo floreale, per ripetere un'espressione del nostro cameriere di Enna, il sapore fresco, delicato, gradevole.
Perfetto è il bianco, un vino color giallo paglierino che sa di frutta"


"Dal punto di vista economico - continua il racconto di Colutta - gli agrigentini debbono combattere contro un terreno duro, argilloso, su cui allignano colture che non possono essere considerate colture industriali, l'ulivo, il mandorlo, il ficodindia".
La provincia offre, fra MenfiSciacca, un vino, "il melfi, di colore fra l'ambra e l'arancione, asciutto, sapido, di 13 o 15 gradi, facile a invecchiare".


Sopra e nelle due immagini che seguono,
altre bottiglie siciliane dei nostri giorni.
Fotografie di ReportageSicilia

Sotto Ribera, fino a Siculiana, Realmonte e Agrigento si produce l'akragas, "un vino da pasto di color giallo paglierino, asciutto di sapore, sapido".
"A Canicattì - in una delle ultime notti trascorse da Colutta nell'isola - "ci dette un grato piacere un belice bianco che, sebbene fossero passati alcuni anni da quando era stato imbottigliato, aveva serbato un colore di pergamena e un sapore di marsala. Questo succo ci fece passare una deliziosa mezz'ora. Il vino ci fluiva nelle vene un dolce sonno, quel sonno che spesso tarda a venire, e che il belice, con le sue proprietà, affrettava"


Nel reportage di Flavio Colutta, quelle dedicate alle produzioni vinicole nel palermitano sono forse quelle più ricche di impressioni personali sulla Sicilia e sui siciliani.
"La natura, è tutta un'altalena fra paesaggi sublimi, sassaie deserte e monti solitari: vale la pena di viverci, piena di fascino com'è. ecco che cosa suggerisce questa terra. Non ci annoia mai, se si fa la vita dei siciliani".
La prima tappa in provincia è a Casteldaccia, "nota per gli splendidi vigneti, dai quali nasce un vino forte, il corvo, bianco e nero. Sono vini di pulitissimo colore, secchi, asciutti, aromatici, dalla temeraria potenza" .
Fra Montelepre, Partinico ed Alcamo, Colutta si imbatte nel "partinico bianco, sui 16 gradi, dal colore dell'oro, vino da taglio; ma i tipi meno alcolici vengono venduti come vini da pasto: e hanno, vivaddio, più odore di terra che di vino".
Infine, dopo una puntata a Carini - "si può far finta di dimenticarsi dei cibi, e dei dolci di zucchero e mandorle, per lo straordinario profumo genuino dello zucco, glorioso di aromi, colore dell'oro colato, superiore, per quello che noi preferiamo, a tutti i vini aromatici d'Europa" - il giornalista si spinge ai confini della provincia di Palermo, verso Caltanissetta.



"Andammo dunque a Sclafani Bagni, che è un paese costruito su una vetta inaccessibile, vigiliato da due torri, e ci volle poco a farsi portare innanzi un paio di bottiglie di quel regaleali, deliziosamente delicato e asciutto, che nasce lì accanto, nelle tenute dei conti Tasca d'Almerita: il regaleali bianco, che ricorda i migliori chablis, e un rosso color rubino che non esitiamo a collocare tra i migliori vini da pasto del Sud d'Italia"

"Forti e animosi", così Colutta definisce i vini della provincia di Trapani, all'epoca coltivata a vigneto per un totale di circa 100.000 ettari, in grado di produrre 80.000 quintali di uva per vini da pasto e da taglio.
Il bianco d'Alcamo è diffuso sino a Castellammare del Golfo, Calatafimi, Gibellina e altro comuni del palermitano.
"Gli intenditori - sottolinea il giornalista - sostengono che una curiosità di questo vino è che di ammarsala invecchiando e che ubriaca a tradimento".
Il capo boeo bianco invece si produce fra Trapani, Marsala, Mazara del Vallo e Castelvetrano, possiede "un leggero colore giallo paglierino" ed un prepotente profumo marsaleggiante.
Proprio il marsala ( "o la marsala, se dobbiamo porgere l'orecchio ai puristi" ) merita le attenzioni di una lunga visita ai principali stabilimenti di produzione, che nel 1972 cercava di risollevarsi da un lungo periodo di crisi commerciale.



Colutta illustra così la sua genesi, precisando che ne esistono diversi tipi ( "vergine, secco ed extrasecco, di un bell'oro antico, gusto generoso, caldo e morbido; quello superiore, che si chiama SOM ( Superior Old Marsala ), ed è abboccato o dolce ma che con l'aggiunta di mosto cotto acquista un grazioso amaro di caramello; il marsala fine, color rosso carico, amarognolo" ):
"Il marsala è prodotto pigiando insieme uve diverse, con predominanza di quella chiamata grillo, bianca e dolce, che allevano su terreni caldi, aridi, esposti ai venti di scirocco che spirano dai vicini deserti sahariani, ma che devono la loro fortuna alla mitezza del clima temperato del mare. E' un vino conciato; ossia, per portarlo a punto, vi aggiungono mosto cotto e mosto fresco di uva passa addizionati ad alcool o acquavite di vino".
Acceso dalle ricche degustazioni di marsala, Colutta esplora altri vigneti e gusta altre bottiglie della provincia:
"Due magnifici vini da pasto, il grecanico e il damaschino, figli entrambi delle pianure, delle sciare rosse della Sicilia meridionale, africana, tufacea e calcarea.
Il grecanico è un bianco che scende giù per lo stomaco con grato tormento, ti si mostra di un bel bianco paglierino brillante dai riflessi verdolini, e i nostri dotti amici lo consigliano con il pesce. Il damaschino, il beldi del Nord Africa, sapete, è bianco anch'esso, delizioso, profumato"

L'ultima tappa del tour enologico di Flavio Colutta lo porta a Pantelleria, l'isola del moscato e dove le viti "sono domate per sottrarle alla furia dei venti, e quando è tempo di vendemmia si vedono le zocche di uva stese nei campicelli al sole; c'è da sognare ad occhi aperti".
L'entusiasmo di Colutta per l'isola, con le sue "piccole case colorate" e le "centinaia e centinaia di poderi", è incondizionato.
"E adesso immaginate la nostra emozione quando, sedendo alla tavola ospitale di un amico, a due passi dal porto, all'aria aperta, alla luce di poche candele, dopo una cena coi fiocchi, venne in tavola l'uva zibibbo, aromatica, calda, dai grandi acini ovali verde biondo e splendidi grappoli. E fra i dolci, i molti dolci e i pasticci, così buoni, comparve finalmente il moscato di Pantelleria, la gloria maggiore di quest'isola lontana.
Questo nettare è notoriamente un passito; dicono che mescolano una parte di uva fresca e una parte di uva secca; poi al mosto aggiungono l'alcool: ed ecco il moscato; che è d'oro, oro brillante, oro di spighe, oro di sole vicino al tramonto.
Ma oltre al colore, il profumo, che sa di fiori, è la cosa più piacevole di questa bevanda, amici, che tiene a galla il corpo e l'anima..." 



  
  




   






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