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giovedì 14 agosto 2014

LE EOLIE DI GIAN PAOLO CALLEGARI

Nel 1952 lo sceneggiatore di "Stromboli terra di Dio" pubblicò su "L'Illustrazione Italiana" un reportage ricco di notazioni su vita e costume degli isolani.
Ad illustrarlo, le immagini del fotoreporter Federico Patellani

Attracco del traghetto a Stromboli.
ReportageSicilia ripropone un articolo
che svela alcuni aspetti della vita nelle Eolie
di sessant'anni fa

"Il piroscafo che la collega la Sicilia con le isole Eolie si chiama 'Luigi Rizzo'; parte da Milazzo e fa scalo alle isole che nell'arcipelago sono abitate, ultima Stromboli.
Quando era ancora vivo l'ammiraglio Rizzo, cioè un anno fa, la nave lo chiamava con la sirena di bordo uscendo dal porto di Milazzo, proprio all'altezza della villetta abitata dall'eroe di Premuda; e Rizzo si affacciava sul balcone, fosse pure occupato a radersi la barba, e con un asciugatoio faceva ampi cenni di saluto cui rispondevano da bordo agitando le braccia.
Qualche volta Rizzo era fuori, e allora era la moglie o magari la domestica che rispondeva al saluto marinaro, ma tutti erano contenti lo stesso, bastando scorgere una figura lassù e qualcosa di bianco ad agitarsi".

L'arrivo settimanale del traghetto a Lipari

Ancor oggi sarà forse possibile trovare qualche anziano testimone in grado di confermare l'aneddoto dei saluti fra l'equipaggio del piroscafo diretto alle Eolie e l'ammiraglio milazzese.
L'episodio è citato in un reportage intitolato "Isole Eolie" che il giornalista, scrittore e scenografo bolognese Gian Paolo Callegari scrisse per un numero speciale della rivista "L'Illustrazione Italiana" nel dicembre del 1952.
Il racconto di Callegari - che mesi prima nelle Eolie aveva curato per Rossellini la sceneggiatura di "Stromboli terra di Dio" - venne corredato dagli scatti di Federico Patellani, allora indiscusso maestro del fotogiornalismo italiano.
Il valore documentario di quel reportage giustifica la riproposizione quasi completa da parte di ReportageSicilia, che così restituisce ricordi ed aneddoti forse dimenticati sulla vita nelle Eolie del secondo dopoguerra.

Scena di vita quotidiana a Lipari,
tra piazza Santonofrio e la chiesa di San Giuseppe

Nel 1952, grazie ai film interpretati pochi anni prima da Ingrid Bergman ed Anna Magnani le isole si erano aperte al mondo, dopo secoli di emarginazione e stenti.
"Negli ultimi tempi, contemporaneamente alla celebrità assunta come ambiente naturale per film internazionali - scriveva Callegari - le isole Eolie sono diventate note in tutta Europa come l'arcipelago ideale per la pesca subacquea: è forse questa la plaga più pescosa del Mediterraneo, la più variata come specie ittiologiche e la più divertente come configurazione dei fondali.
A pescare da queste parti ci venivano gli aristocratici di palermo, capeggiati da Lanza di Trabia e da Alliata; e qualche volta buttavano ancora ( parlo di tre anni fa ) i panfili francesi, belgi e perfino danesi che correvano in cerca di sole nel Mediterraneo meridionale. Il re qui era allora il tenente Bucher, un pilota fiumano dell'aeroporto di Capodichino, che era ed è il campione mondiale di immersione a corpo libero: Bucher andava a trenta e più metri sott'acqua con il suo fucile e riportava infilati alla sua cartuccia-spiedo dei pesci enormi che agli isolani non facevano alcuna impressione.
Per la verità il pesce a questa gente non fa né impressione né voglia; è un poco come i fichi d'India in Sicilia.
Le famiglie povere lo mangiano tutto l'anno prendendolo senza fatica e senza spesa, anzi lasciando l'incarico di procurarlo ai ragazzi di casa.
Si butta una nassa in mare con pochi avanzi di cucina e si ritira il giorno dopo con dentro due o tre aragoste. Nessuno degli abitanti di Stromboli o di Panarea riuscirà mai ad immaginare cosa costa in continente un'aragosta; una volta ne ho avute tre per un pacchetto di sigarette e sono stato ringraziato...".

Una veduta di Lipari con in primo piano
l'immancabile raffigurazione delle piante di fichi d'India

Nel suo reportage, Gian Paolo Callegari racconta delle produzioni di pomice a Lipari, di vino malvasia e dei capperi ( "gli abitanti delle Eolie, specialmente di Stromboli, lo trapiantano nelle poche zolle di humus fra le crepe della lava costiera. Una pianta di cappero sembra un mozzicone bruciato, ma per una pianta guastata nascono le sole risse che hanno luogo in queste terre esenti da acrimonie e da malvagità civili" ).
Ancora una volta Stromboli - che Callegari aveva a lungo frequentato durante la lavorazione di "Stromboli terra di Dio" - offre l'occasione per ricordare al giornalista lo stupore provocato dall'arrivo della troupe di Rossellini.
"Quando sbarcò una vitella per la mensa - si legge nel reportage - la maestra pregò che si rinviasse di un giorno la macellazione per condurre le scolaresche a vederla e quando giunsero sei muli da Messina per condurre i proiettori cinematografici sul vulcano, la gente si rinchiuse in casa terrorizzata perché li credeva feroci".
Buona parte del racconto di Callegari, infine, è dedicato al fenomeno dell'emigrazione, che proprio in quegli anni stava spopolando Stromboli e le altre isole dell'arcipelago.

Vulcano vista da Quattrocchi

Dopo avere ricordato che durante le riprese del film gli era capitato di visitare parecchie case abbandonate, trovandovi calendari vecchi di trent'anni e giornali con le cronache del terremoto di Messina, Callegari scriveva:

"Stromboli, che ha avuto all'inizio del secolo 3500 abitanti, ora supera appena i 300 e vede partire col piroscafo settimanale qualche figlio.
Stromboli oggi è in America, specialmente a New York, e in Australia ed a Sidney; chi resta al paese sono i vecchi che i figli emigrati mantengono o i vecchi che tornano a morire nella terra natale.
Per il resto si tratta di bambini che attendono i diciotto anni per partire se femmine o la fine del servizio militare se maschi.
Che questo paese sia una strana appendice dell'America, lo vedi subito sbarcando: ognuno veste abiti di taglia americana, inviati dai parenti ricchi, ed in ogni casa i calendari sono in inglese, spesso con la pubblicità di ditte stromboliane in America.
Negli Stati Uniti questa gente ha fatto fortuna, senza avere dato nomi sonanti al nuovo mondo; gli isolani in America sono negozianti di verdura, imprenditori di lavori murari e qualcuno è arrivato a padrone di piccole banche.

Una donna di Stromboli.
Nella didascalia che commenta la fotografia si legge:
"Maria Cipriano assomiglia un poco a Ingrid Bergman.
Glielo abbiamo detto e ha sorriso contenta"

La compagnia dei rimorchiatori di New York è in mano ad uno stromboliano, così come il mercato del pesce a Boston.
In Australia invece gli 'eolii' - mi si perdoni la qualifica poetica - sono tutti negozianti e si richiamano da parente a parente in modo che l'apprendista di oggi diventa padrone di un nuovo negozio domani appena ha un poco di risparmi. Mi dicono che nella Nuova Zelanda una intera via di una città moderna è composta di negozi di abitanti di Stromboli e di Lipari. 
E il merito di questa gente è il ricordo che serbano della terra natale e dei parenti, vecchi e giovanissimi, rimasti nelle isole.
I tre parroci di Stromboli ricevono ogni mese somme non piccole dagli isolani emigrati che mantengono le famiglie rimaste sulla cara terra inospitale; e quando un giovane deve emigrare, i compaesani che risiedono nel luogo ove il parente è diretto, si quotano per mandare i denari del viaggio.
Se si considera che un viaggio in Nuova Zelanda costa settecentomila lire, si pensi che cosa i parenti sborsino per la famiglia di Stromboli presso la quale abitai e che vidi partire con ben dodici componenti; sono milioni che l'emigrante assume come debito d'onore verso i parenti che lo hanno preceduto nella terra straniera e che renderà con la certezza di potere un giorno fare lo stesso piacere a qualcuno di quei bambini che sono venuti a salutarlo all'imbarco qui sull'isola, sventolando i fazzoletti mentre la barca da pesca lo conduce al piroscafo rimasto a debita distanza dalla costa.
Vi sono a Stromboli  dei sobborghi interi che non hanno più una casa abitata e che vedono appena una volta al giorno la vecchia custode che si aggira fra i muri e le porte sbarrate, ricordando i nomi e i volti di chi partì da tanti anni.
Tornerà questa gente? Qualcuno viene a morire, raccontando le favole di 'Broccolino'; ma la maggioranza non tornerà mai più.
Non tornerà per restare, intendiamoci: poiché ogni piroscafo che porta via nuovi emigranti reca un 'americano' o un 'australiano' in visita di pietà: gente che viene con le grosse catene d'oro al panciotto, con le fotografie della casa, del negozio, dell'automobile che ha e che conduce moglie e figli stranieri a vedere la casa dove nacque sepolta da decenni di polvere e il cimitero dove riposano i genitori.
Un mazzo di fiori, una visita ai parenti, un po' di dollari al parroco per i poveri e via di nuovo con il primo piroscafo due giorni dopo...".





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