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sabato 15 febbraio 2014

WALTER BONATTI ESPLORATORE A PANTALICA

Nella primavera del 1973 l'alpinista bergamasco usò corde e funi per scoprire i luoghi nascosti della necropoli preellenica. 
ReportageSicilia ripropone il suo racconto pubblicato allora dal settimanale "Epoca"

Walter Bonatti a Pantalica.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
illustrarono il servizio pubblicato
dal settimanale "Epoca" nell'agosto del 1973 

Walter Bonatti è stato uno dei più personaggi più noti e discussi dell'alpinismo italiano, lasciando testimonianza delle proprie imprese grazie anche all'intensa attività di scrittore e giornalista.
Scalatore di vette alpine, himalayane e andine, esploratore di foreste amazzoniche e deserti australiani, nella primavera del 1973 Bonatti - a pochi mesi dal ritorno da un viaggio in Zaire e Congo - ebbe modo di esplorare in Sicilia l'impervia vallata di Pantalica.


"Con due compagni di viaggio
rimango alcuni giorni accampato in queste valli,
pervaso da una specie di febbre di scoperta.

"Con una difficile scalata esploro il
'grande tempio'..."


Fu un impegno tecnico sicuramente non difficile per uno dei padri del moderno alpinismo estremo, affrontato in blue jeans e scarpe da montagna; tuttavia, la suggestione di quest'angolo di territorio isolano, punteggiato dalle centinaia di cavità della necropoli d'età del bronzo, fu tale da fargli scrivere:
"Con due compagni di viaggio rimango alcuni giorni accampato in queste valli, pervaso da una specie di febbre di scoperta. Esploriamo tombe, cavità e anfratti servendoci di corde per scalare le rocce o per calarci dall'alto lungo di esse...".


"Migliaia di grotticelle scavate nelle rocce
che si innalzano dai canyons
fanno di Pantalica un luogo selvaggio e suggestivo"

"L'erosione del tempo
e i movimenti tellurici hanno sconvolto
gran parte delle aree della necropoli;
non è raro, infatti, scoprire tragiche incrinature
che preannunciano un franamento"


L'alpinista bergamasco inserì il racconto di quell'esperienza tra i reportage pubblicati dal settimanale "Epoca", con il titolo "Pantalica. La misteriosa valle dei sepolcri".
ReportageSicilia ripropone quell'articolo - pubblicato nel numero 1195 del 13 agosto 1973 - e gran parte delle fotografie che lo illustrarono. 
Per fedeltà di documentazione, sono state riproposte anche le didascalie che accompagnarono gli scatti del reportage di Walter Bonatti.


"Esploriamo tombe, cavità e anfratti
servendoci di corde per scalare le rocce
o per calarci dall'alto lungo di esse.
Emergono veri gioielli di costruzione
come questa tomba a tre cavità"

"A volte il cedimento è già avvenuto
all'interno distruggendo gli alveoli sepolcrali
dalle sottili pareti.
Di queste tombe non rimangono allora
che le facciate esterne
drammaticamente sospese"


"Risalgo la valle dell'Anapo, nell'entroterra di Siracusa, per circa venticinque chilometri di carrozzabile.
Ora il fiume gira a sinistra e, sinuoso, rimonta tra complicate pareti di roccia fino a fondersi con esse scomparendo alla vista.
Là dentro c'è Pantalica: il più importante fra i centri della Sicilia preellenica, il complesso di necropoli più affascinante di quell'età.
Una stradina, ricavata dalla sede di una piccola ferrovia in disuso, è l'unico accesso al canyon serpeggiante, grazie ai ponti e alle gallerie ancora transitabili tra le rocce a picco; le sensazioni che via via si provano penetrando in quelle gole, sono degne di un'avventura vissuta in un mondo lontano.


"Marcello Paltrinieri mostra alcune ossa
rinvenute in un loculo"

"Un mortaio scavato nella pietra"


Lo straordinario viaggio comincia giusto al termine di una lunga galleria quando al di là del buio, con ancora negli occhi le cose e i colori del quieto paesaggio agreste, ci si trova di colpo come sospesi sulle rocce calcaree che sfuggono nel cielo dalle calme acque del fiume, verde e profondo.
Qui la luce è cupa, filtrata da una boscaglia opulenta; l'aria è ferma, muta, i profili creano a volte forme mostruose.
Dopo la galleria c'è un ponte, dall'aspetto alquanto insicuro, poi un terrapieno che il tempo sta corrodendo, un'altra buia galleria, dissestata, ancora un ponte, e poi così via per almeno un chilometro, fino a che il fiume, dopo tanti meandri, si distende.

"A occidente di Pantalica
notiamo un'enorme e profonda cavità
che incide una selvaggia parete calcarea
per circa 50 metri.
D'acchitto, sembra naturale,
ma innalzadoci verso di essa
vi scopriamo profili stranamente regolari
e rozze forme geometriche.
In noi nasce il sospetto che essa sia stata scavata dall'uomo,
almeno parzialmente dall'alto verso il basso.
Forse era adibita a grande tempio,
dedicato a una misteriosa divinità pagana,
e capace di ospitare qualche centinaio di fedeli"

Dal cielo, ora più aperto, degradano le balze calcaree. Nei rari ripiani presso il fiume riappare qualche esiguo agrumeto, ma la valle ha assunto ormai un aspetto selvaggio, quasi estraneo al tipico paesaggio isolano.
Euforbiacee, ulivi selvatici, pistacee, thapsie, rovi, rutacee, leguminose, liliacee e tante altre piante mediterranee creano un agglomerato di toni verdi che dal fondovalle sbiadisce progressivamente verso gli altipiani battuti dai venti.
Qualche rapace volteggia nel cielo; sotto, nel pesante silenzio, a qualche grido di uccello risponde ( sembra dall'aldilà ) il gracidare delle rane.


"Fa la sua comparsa la rivoluzionaria ruota.
Così le prime strade rudimentali
vengono scavate sui fianchi rocciosi di Pantalica,
che conservano tuttora le tracce indelebili
dei carri e degli animali che li trainavano"

"In epoca storica,
anche questo antico regno di morti accoglierà
le impronte dei colonizzatori:
i Fenici, i Greci, i Romani, i Bizantini, gli Arabi,
i Normanni, i Francesi, gli Spagnoli" 


Ma aggirato uno sperone, ecco apparire sulle rupi le prime tombe preistoriche. Così nette e regolari nei loro profili, sembra impossibile che risalgano alla tarda età del bronzo. 
Presto se ne scoprono tante altre e, continuando il cammino, in breve si vede tutta la montagna, attorno, traforata, punteggiata da innumerevoli grotticelle che incidono anche i massi più piccoli e nascosti. 
Lo spettacolo suscita diverse impressioni: pare di trovarsi al centro di un'enorme e incredibile schacchiera, o di aver addosso mille occhi misteriosi della montagna...
La fantasia galoppa dipanando e mescolando le poche nozioni di storia e di letteratura rimaste nella mante dagli anni svogliati della scuola.

"Le nuove e ultime necropoli
mutano di stile, spesso vi si scavano accanto
ampie cavità usate come abitazioni,
e aeree scalinate per accedervi"

Da ricercatori improvvisati, si sbagliano date, si confondono popoli, si fruga malamente nei millenni, infine ci si consola pensando che certi aspetti di questo angolo di casa nostra rimangono tuttora ignorati anche dagli specialisti.
Alla fine ci si accontenta di ammirare semplicemente quelle cose; che non finiscono mai di stupirci.
La forma di una tomba, l'arditezza di un'altra, un dente umano rinvenuto in una grotta nascosta, un tappeto di fiori gialli, una curiosa prospettiva, un'eco, un tramonto, una grossa bomba lavica scagliata fin qui anticamente dall'ormai estinto cratere del monte Lauro, e mille altre sorprese offerte da una natura splendida ed affascinante, passata attraverso l'epopea dell'uomo preistorico e la rovina dei millenni.


"L'Asphodelus Ramosus Macrocarpus,
detto 'il fiore dei morti'"

"Lo scorpione delle tombe"


Quando i Corinzi, guidati da Archia, sbarcarono verso l'VIII secolo a.C. là dove fonderanno Siracusa, la costa era ancora pressocché deserta. 
I Siculi ( abitanti dell'entroterra, che vivevano accentrati in massima parte nella fortezza naturale di Pantalica ) si erano uniti ai Cartaginesi, che già presidiavano quelle terre, per scacciare i nuovi invasori; ma, sopraffatti, ripiegarono disperdendosi sulle montagne. 
Era iniziata per l'antica Sicania l'opera di colonizzazione greca che si succedeva a quella dei Fenici.
In quel periodo, dunque, i Greci occuparono Pantalica e vi innalzarono un ponderoso sbarramento, forse la più antica fortificazione di cui rimanga traccia in Sicilia.
Perciò deve pure essere accaduto che un giorno i legionari di Archia si siano inerpicati su per il dedalo roccioso dell'Anapo scoprendovi gli impressionanti alveari delle città dei morti.
Immagino quale spavento dev'essere stato per quella gente che - nelle tenebre dell'inconoscibile - s'era creata certe immagini mitiche sui destini dell'uomo.
Dovettero proprio credere, quei rozzi soldati, di essere giunti nell'Ade, nel regno delle ombre. 
Erano passati per orridi precipizi, fenditure della terra, massi lavici, e là dentro avevano incrociato tenebrosi fiumi - gli affluenti dell'Anapo - che per una comprensibile suggestione devono avere assunto ai loro occhi le caratteristiche del Cocito ( fiume del pianto ), del Piriffegetone ( torrente di fuoco ), dell'Acheronte ( corrente di dolore ) e dello Stige ( fiume dell'odio ).




Chissà se qualcuno non abbia scorto persino il nocchiere Caronte; ma certamente deve avere visto il suo terribile Cerbero. V'è una grotta, infatti, all'inizio di quelle gole da cui pende un'enorme stalattite dal perfetto profilo di un grosso cane.
Tutto, per quegli antichi Greci, dovette sembrare spaventosamente verosimile; anche perché una loro massima trovata ebbe un certo riscontro in quei luoghi: 
"All'Occidente, è l'origine e la fine delle cose".





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