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sabato 30 marzo 2013

LAMPARE A LIPARI

Un gruppo di pescatori a Marina Corta di Lipari.
L'immagine è tratta dalla rivista trimestrale "Sicilia"
edita da S.F.Flaccovio nel luglio del 1975

Le immagini di Lipari riproposte in questo post da ReportageSicilia ritraggono Marina Corta e sono tratte rispettivamente dalla rivista trimestrale "Sicilia", pubblicata nel luglio del 1975 da S.F. Flaccovio e dall’opera francese “La Sicile”, edita da Del Duca nel 1957.
Delle due fotografie, l’unica che rechi un’attribuzione – a Patrice Molinard – è quella del volume stampato a Parigi con testi di Jean-Louis Vaudoyer.
Ai nostri giorni, Lipari è certamente l’isola delle Eolie più conosciuta e battuta dai turisti; vi circolano anche gli autobus ed il suo traffico automobilistico può in alcuni casi smentire la fama di solitudine e bellezza che accompagna ancora alcuni luoghi più remoti dell’arcipelago messinese.


Già nel 1966, l’inviato del Touring Club Italiano Piero Studiati Berni notava:
“Lipari è bella, ma chiassosa, disordinata: ha la pretesa di una città, ma il carattere di un paese.
A Lipari ci sono i negozi, le strade, le automobili, si può comprare la carne e andare al cinema e tutto questo, nella mentalità degli isolani, è più che sufficiente a rendere funzionale l’isola e a trasformarla in un vero centro residenziale e turistico…
A Lipari sembra che tutte le isole debbano una sorta di rispetto perché Lipari si sente capitale: storia, leggenda e natura l’aiutano a mantenere questo privilegio; persino i suoi dodici vulcani, oggi quieti come vecchie cucine, sono stati generosi dando a Lipari la pomice e l’ossidiana che nel passato raggiunse tutti i mercati del Mediterraneo Orientale”.

Uno scorcio di Marina Corta precedente al 1957,
quando questa fotografia attribuita a Patrice Molinard
venne pubblicata nell'opera "La Sicile"
edita a Parigi da Del Duca

Delle due fotografie riproposte nel post, la più interessante è forse quella che ritrae il gruppo notturno di barche di pescatori, con le lampare accese e forse in procinto di prendere il mare.
In passato, a Lipari si è praticata con un certo successo la pesca notturna del pesce spada con la palamidara, soprattutto nei profondi tratti di mare che separano l’isola da quelle di Vulcano e Salina.


La palamidara è una rete lunga dai 600 ai 1000 metri ed alta sino a trenta. Viene calata in mare all’imbrunire, fra aprile e giugno; nella nottata, al variare delle correnti, può essere salpata e ricalata più volte. La rete era sostenuta da galleggianti di sughero o da palle di plastica, ed il pescato era diretta verso il mercato messinese.
Oggi Lipari vive quasi principalmente di turismo, attività che patisce gli effetti della più generale recessione economica.
La pesca, al pari di molte altre località marine siciliane, ha un peso limitato: poche barche ormai offrono il vecchio spettacolo dei gruppi di lampare che riflettevano la propria luce sul golfo di Marina Corta.


SICILIANDO













"Dai primi tempi della storia infino a noi molte genti straniere vennero a calpestare il suolo della Sicilia: Cartaginesi, Vandali, Goti, Bizantini, Alemanni, Francesi, Spagnoli, a vicenda portaron guerra nell'isola, guastarono, messer su novelle dominazioni e poi dileguaronsi lasciando poche vestigia di sé".
Michele Amari

domenica 24 marzo 2013

I RICORDI ETNEI DI ERCOLE PATTI

Lo scrittore catanese Ercole Patti in una fotografia di Giuseppe Quatriglio, tratta dall'opera "Contatti - Persone e e personaggi del Novecento", edita nel 2004 dalla Fondazione Giuseppe Whitaker di Palermo

Ercole Patti fa parte di quel non ristretto numero di scrittori siciliani la cui fama è stata ingiustamente offuscata dai grandi nomi della letteratura isolana del Novecento.
Nato nel 1904 a Catania, Patti scrisse ed ambientò gran parte dei romanzi e racconti a Roma, dove morì il 15 novembre del 1976 nella sua casa sul lungotevere Flaminio.
Nella Capitale, Ercole Patti – oltre a frequentare assiduamente i salotti artistici e mondani, sempre in compagnia femminile - svolse un’attività giornalistica che lo portò a collaborare via via con la “Gazzetta del Popolo”, il “Corriere della Sera” e “La Stampa”.

Una veduta dell'Etna da via Etnea, a Catania.
La fotografia è tratta dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia"
del settembre 1955

Lo scrittore catanese – figlio di un avvocato e lui stesso in origine avviato alla carriera forense – fece parte di un gruppo di intellettuali che comprendeva anche Ennio Flaiano, Alberto Moravia e Sandro De Feo.
Malgrado il suo rapporto consolidato con Roma, Ercole Patti non allentò mai i legami con la Sicilia, tornando spesso nella sua casa di Pozzillo.
L’isola – con i paesaggi, gli umori e gli odori della costa ionica e dell’Etna – fu per lui principale fonte di ispirazione e verve narrativa.

Uno scenario bucolico fra alberi di ulivo con vista sull'Etna.
L'immagine è tratta dall'opera "Sicilia" della collana del TCI
"Attraverso l'Italia" edita nel 1933  

“L’olfatto – scrisse di lui Valentino Bompiani, suo principale editore - era la sua stessa natura, come nei cani, adoperato non per scovare, ma per godere. Forse, questa, è una virtù siciliana, da paese povero, che di magri avanzi e profumi fa pietanze squisite ( Brancati mi raccontava che suo padre si alzava all’alba per andare a comperare il pesce dalle barche che rientravano. Lo annusava e diceva “Questo è di nottata” e lo scartava. Voleva il pesce pescato sulla via del ritorno, con l’ultimo guizzo appena spento ). A Patti piacevano i libri con l’ultimo guizzo appena spento”.

Ancora una fotografia riproposta dall'opera "Sicilia"
edita dal TCI nel 1933.
Attribuita a Vito Longo, fissa un'immagine di Misterbianco

ReportageSicilia dedica questo post ad Ercole Patti, riproponendo alcune vecchie immagini di quel mondo etneo che ha ispirato lo scrittore catanese, come nella raccolta di scritti “Diario Siciliano”, edita da Bompiani nel 1971.
Lo stesso Patti definì il libro una raccolta di pagine sparse in "giornali, libri e nei miei cassetti, dal 1970 al 1931".


“Scritte in anni diversi, e di autunno inoltrato ( stagione intonata al ripiegamento elegiaco di quella sensualità ) – notò il critico letterario Arnaldo Bocelli nel 1969 - queste pagine, che culminano in trepide contemplazioni di campagne e marine, albe e tramonti, opere e giorni, ci propongono la visione di una Sicilia splendida e triste, irrequieta e immobile, carnale e innocente. Una Sicilia più vicina – per intenderci – a quella di un Francesco Lanza o d’un Tomasi di Lampedusa ( sebbene letterariamente a questa anteriore ) che non a quella delle generazioni più vicine”.
Il racconto riproposto da ReportageSicilia ha il titolo "Paesetti sull'Etna" ed è datato maggio 1969.

Uno stazzo di pecore alle pendici del vulcano.
Lo scatto è di Ezio Quiresi ed è tratto dall'opera del TCI "Sicilia" collana "Attraverso l'Italia" edita nel 1961

“I paesetti situati sulle ultime pendici dell’Etna a pochi chilometri da Catania sono sempre stati sin dall’Ottocento le villeggiature predilette dei catanesi.
Quando cominciava il caldo, proprietari avvocati e medici si trasferivano in quei paesetti, da trecentocinquanta a seicento metri di altitudine, per trascorrervi almeno un mese, talvolta due e anche di più quelli che non avevano cose urgenti da fare. C’era un’aria fresca e pulita, erano circondati da vigneti e i più alti da castagneti.

Lavoratori per la vendemmia sulle pendici etnee.
L'immagine è tratta dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia" del settembre 1955

Il più vicino alla città era Sant’Agata li Battiati a poco più di trecento metri di altitudine.
La famiglia di Giovanni Verga vi possedeva una villa di campagna dove lo scrittore allora giovanissimo trascorreva qualche settimana in autunno all’epoca di “Una peccatrice”, cioè verso il 1864-65.

Una pianura nel territorio di Bronte
in una seconda fotografia di Ezio Quiresi.
L'immagine, come quella che segue, è tratta dal I volume dell'opera "Sicilia" edito nel 1961 da Sansoni
e dall'Istituto Geografico De Agostini 

Dopo venivano San Giovanni La Punta, Viagrande, Trecastagni, Pedara, Zafferana. Adesso la città avanza minacciosamente verso di essi coi suoi palazzoni a parecchi piani. Il primo paesetto ad essere ingoiato dal cemento fu già da parecchi anni la Barriera del Bosco, che era proprio alle porte di Catania, ormai è un quartiere cittadino.

Altra fotografia di Quiresi, contemporanea alla precedente
e sempre ambientata nelle campagne di Bronte

Di lì l’avanzata ha invaso Sant’Agata Li Battiati che ha cessato di essere un paese di villeggiatura per diventare una zona residenziale di Catania. Lì hanno le loro ville professionisti di tutte le categorie, che la mattina in pochi minuti di macchina sulla strada liscia e comoda si recano ai loro uffici e cliniche di Catania.

Raccoglitore di limoni nelle campagne di Paternò.
L'immagine è tratta dall'opera del TCI "Sicilia"
edita nel 1961 

Viagrande, San Giovanni La Punta, Trecastagni stanno per essere attaccate dal cemento. Percorrendo queste strade che un tempo erano fiancheggiate soltanto da vigne e da rustici casolari e che adesso fra Trecastagni e Viagrande sono gremite di ville e villinetti pretenziosi, alcuni di lusso altri di un modernismo esasperato che toglie ogni sapore e ogni poesia alla bellissima antica terra che c’è intorno, ripensavo agli anni della mia infanzia quando si veniva su in questi paesetti in carrozza; erano ore e ore di cammino, in certi punti di salita troppo ripida bisognava scendere perché il cavallo non ce la faceva e talvolta il cocchiere l’aiutava spingendo anche lui le stanghe della carrozza.

I criteri avventizi dell'Etna con in primo piano
i monti Carcarazzi e Silvestri.
La fotografia - attribuita a Cucuzza Silvestri - è stata pubblicata ancora una volta dall'opera del TCI del 1961 

A quei tempi una carrozza a due cavalli partita da Catania, per arrivare a Milo sopra Zafferana ( circa venticinque chilometri ) calcolando le fermate per dar fiato ai cavalli, le salite che si facevano a passo d’uomo e altri piccoli intoppi, ci metteva circa otto ore, un po’ più del tempo che si impiega oggi per recarsi a New York. Però il silenzio e la frescura che circondavano quei paesini dopo quella faticata erano prelibatissimi.

Sciatori in cammino lungo la pineta di Linguaglossa.
La fotografia è stata pubblicata nel II volume dell'opera "Sicilia"
edita nel 1961 da Sansoni
e dall'Istituto Geografico De Agostini

Ma senza spingersi a quei tempi così remoti e felici anche quando ci si veniva già in automobile fino a qualche anno fa, e non era cominciasta l’avanzata del cemento, conservavano ancora il loro fascino di paesetti riposanti, lontani dalla città.
Oggi ci arriva in pochi minuti e questa grande rapidità con la quale si possono raggiungere unita alle case nuove che sorgono continuamente annulla molto del loro incanto e del loro silenzio. Inoltre gran parte di quelle vigne e di quei boschetti rapidamente lottizzati si riempiono di villinetti di mattoni interrotti da blocchi di muro simili a pezzi di torrone mandorlato, persiane rosa o gialle, colorini squillanti che fanno a pugni con il paesaggio.

Pendici del vulcano coltivate a vigneto, in uno scatto del fotografo
Josip Ciganovic pubblicato ancora dall'opera "Sicilia" nel 1961

Certe vigne ai piedi della montagna che si trovano oltrepassato il paese di Trecastagni, sono già smembrate, ridotte al minimo, presto scompariranno del tutto; sono quelle vigne che una volta si costeggiavano nelle passeggiate verso la montagna; ai lati non si vedevano che rare casupole e qualche vecchio palmento con un asinello attaccato ad un anello di pietra al muro.

Pendici del vulcano in uno scatto pubblicato nell'agosto del 1928
dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia"

Il resto era campagna pura. Oggi quelle vecchie vigne stanche vendute a pezzetti sono diventate ottime e insperate fonti di guadagno e i proprietari sembrano essere riscossi da un lungo sonno e hanno cambiato tenore di vita.
Ma l’incanto di quei paesetti è perso per sempre. Battiati, San Giovanni La Punta, Viagrande, Trecastagni, Pedara, Zafferana.
Ricordo certi pomeriggi di non molti anni fa.

La piazza di Zafferana Etnea in una fotografia
edita dalla rivista del TCI
"Le Vie d'Italia" nel settembre del 1955

Si sarebbero detti paesi disabitati. Invece erano pieni di gente in villeggiatura. In quelle ore i villeggianti erano tutti a casa nelle terrazze in ombra accanto alle piante di gelsomino che si arrampicavano sui muri attorno alle porte negli orti e nei giardinetti interni sotto un nespolo o un noce o all’ombra di un castagno accanto alla porta della cantina.
Nelle vigne l’uva era ancora acerba: dalle porticine interne delle case si passava direttamente nelle vigne.

Un panorama di Paternò attribuito a Bromofoto Milano
e pubblicato in "Sicilia" edito nel 1961 dal TCI

Qualcuno si incamminava in quelle ore con la giacca del pigiama lungo i viottoli tagliati fra le viti e raggiungeva un boschetto di querce e castagni, sostava a fumare il sigaro all’ombra di un pistacchio accanto alla macchia di vecchi fichidindia, nel silenzio disteso del meriggio, entro cui il ronzio di un calabrone che passava vicino e dileguava, riempiva per un attimo l’aria come un rombo di aeroplano”


mercoledì 20 marzo 2013

MONDELLO, DESERTE VISIONI DI MARZO

La spiaggia palermitana di Mondello in una giornata di marzo.
Le fotografie di questo post sono state realizzate da ReportageSicilia

In quelle giornate in cui la stagione invernale comincia a rivelare i primi cedimenti e si colgono luci e temperature primaverili, la borgata palermitana di Mondello svela il suo volto di spiaggia dai colori tenui ed avvolgenti.


La calca di bagnanti e l’invasione della sabbia da parte delle “cabine” estive è allora un ricordo ancora lontano.


Così, in una giornata di inizio di marzo è possibile documentare puri scorci di spiaggia e di mare, da godere in un silenzio cadenzato da un regolare sciabordio delle creste d’onda sulla battigia.


Le fotografie presentate in questo post da ReportageSicilia offrono qualche visione di “quella” Mondello e non hanno la pretesa di renderne a pieno il godimento di chi ne calca la deserta distesa di sabbia; magari, coltivando il desiderio del primo bagno dell'anno. 


lunedì 18 marzo 2013

I CARRETTIERI DI PORTO EMPEDOCLE

Carrettieri di Porto Empedocle nei pressi del porto agrigentino.
La fotografia, insieme alle altre riproposte da ReportageSicilia in questo post, è firmata da Calogero Cascio ed è tratta dalla rivista "Sicilia", edita nel settembre del 1962 dall'Assessorato Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo. 
I carrettieri svolgevano allora una fondamentale funzione nella vita sociale ed economica della zona, assicurando i trasporti di salgemma, zolfo, gesso e di prodotti agricoli locali
verso altri porti italiani e stranieri

Le fotografie riproposte in questo post da ReportageSicilia sono tratte dalla rivista “Sicilia”, edita dall’Assessorato Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo nel settembre 1962.
Le immagini, firmate da Calogero Cascio ed accompagnate dal semplice titolo "I carri di Porto Empedocle", colgono alcuni aspetti della vita dei carrettieri nella cittadina portuale.


Negli anni di quel reportage fotografico, il ruolo di questi personaggi fu di primaria importanza per lo sviluppo della società e dell’economia locali; la provincia agrigentina non era infatti dotata di un tessuto di viario in grado di assicurare l’agevole trasporto di merci su moderni mezzi a motore.
Carri, carrettieri e cavalli svolgevano dunque un lavoro di primo piano, per lo più su strade rurali dissestate e di difficile percorribilità per i camion.


Il porto empedoclino – nelle cui attività di trasporto e movimentazione erano allora impegnate un migliaio di persone - era lo scalo di partenza di vari prodotti da tutta la provincia di Agrigento e di parte di quella di Caltanissetta.


Così, i carrettieri con i loro viaggi assicuravano il trasporto via mare del salgemma di Cammarata, Racalmuto e Cattolica Eraclea destinato a Porto Marghera, Genova e Monfalcone; dello zolfo verso i porti tunisini, di Genova e Venezia; ed ancora, pietre da gesso, fave essiccate, agrumi e cereali imbarcati con destinazione Malta.



Ciascun carro poteva trasportare dai 6 agli 8 quintali di materiale; l’attività coinvolgeva anche i figli dei carrettieri più anziani, proseguendo una tradizione familiare nata alla metà del secolo XIX, quando Porto Empedocle - grazie all'industria dello zolfo - sviluppò le sue strutture portuali. 
Nei suoi scatti, Cascio coglie alcuni di questi carri sulla banchina dello scalo, poco prima delle operazione di scarico dei loro prodotti.


Altre fotografie - forse le più interessanti - rivelano invece l’abilità e lo spirito di competizione di alcuni carrettieri, capaci di lanciare carri e cavalli in una corsa sfrenata: una dimostrazione di coraggio e perizia, in grado di stabilire gerarchie e ruoli di preminenza all’interno di questa ormai scomparsa cerchia di lavoratori.


SICILIANDO














"I siciliani quasi tutti hanno un'istintiva paura della vita, per cui si chiudono in sé, appartati, contenti del poco, purché dia loro sicurezza. 
Avvertono con diffidenza il contrasto tra il loro animo chiuso e la natura intorno aperta, chiara di sole, e più si chiudono in sé, perché di questo aperto - che da ogni parte è il mare che li isola, cioè che li taglia fuori e li fa soli - diffidano.
Ognuno è e si fa isola da sé, e da sé si gode - ma, appena, se l'ha - la sua poca gioia; da sé, taciturno, senza cercare conforti, si soffre il suo dolore, spesso disperato. 
Ma ci sono quelli che evadono..."
Sebastiano Aglianò

sabato 16 marzo 2013

MOSAICI DI MONREALE, DA ARTE A MODA

L'attrice romana Lilli Cerasoli in posa fra le colonnine del chiostro di Monreale con un paio di pantaloni disegnati con i motivi decorativi dei mosaici bizantini e prodotti dallo stilista fiorentino Emilio Pucci.
La collezione dei capi di abbigliamento con i disegni ispirati agli scacchi, agli chevron ed alle losanghe monrealesi ebbe una breve stagione di successo commerciale negli Stati Uniti.
Lo scatto venne eseguito nel 1956 dalla fotografa di moda Elsa Haertter ed è tratto dalla rivista mensile "Sicilia" edita nel settembre del 1962 dall'Assessorato Regionale Turismo Sport e Spettacolo

Fu nella primavera del 1956 che il chiostro del duomo di Monreale – sino ad allora noto come straordinario esempio di architettura del secolo XII – raccolse le attenzioni del mondo della moda.
Accade infatti che il marchese Emilio Pucci (1914-1992 ), erede di una nobile famiglia fiorentina e considerato come un pioniere della moda italiana nel secondo dopoguerra, presentasse allora una collezione di tessuti ispirata ai mosaici che intarsiano le 208 colonnine del chiostro monrealese.
Pucci – divenuto famoso per le sue creazioni nel 1950 a Capri, dopo l’apertura di una boutique – fu uno specialista nella riproposizione di disegni ispirati dalla cultura e dall’arte italiana, come le pitture del Botticelli od i costumi del Palio di Siena; le sue creazioni sfruttavano cioè la notorietà dell’arte e delle tradizioni della penisola all’estero, andando incontro soprattutto ai gusti del pubblico americano.
Le trame dei mosaici del chiostro di Monreale fecero la loro comparsa su gonne, pantaloncini e camicette firmate da Emilio Pucci alle sfilate della moda di Firenze per la collezione primavera-estate del 1956.

Un altro capo d'abbigliamento riproducente
le decorazioni musive del chiostro monrealese.
Lo stilista fiorentino Emilio Pucci fu uno specialista nelle riproposizione di disegni ispirati alla cultura italiana,
come le pitture del Botticelli od i costumi del Palio di Siena.
La collezione dedicata ai mosaici delle colonnine di Monreale venne presentata a Firenze nel 1956 ed ottenne una breve stagione
di successo commerciale negli Stati Uniti.
La fotografia - al pari della successiva riproposta da ReportageSicilia - è tratta dal quotidiano "La Stampa" del 19 luglio del 1956 
Così, scacchi, chevron e losanghe di ispirazione bizantina finirono col decorare capi di abbigliamento indossati da ricche donne americane, per lo più ignare dell’esistenza stessa dei capolavori d’arte normanna nella Sicilia di 8 secoli prima.
Il battage pubblicitario allestito dal nobile fiorentino fu affidato ad Elsa Haertter ( 1908-1995), storica fotografa di moda di origini tedesche.
La Haertter ottenne le autorizzazioni per trasformare il chiostro benedettino di Monreale in un set; alla fine, furono realizzati 632 scatti a modelle vestite con i capi di abbigliamento ispirati dai disegni dei mosaici.
Oggi quelle singolari fotografie monrealesi sono conservate nel Fondo Elsa Haertter, custodito all’interno della Biblioteca Tremelloni del Tessile e della Moda di Milano.
In questo post, ReportageSicilia ripropone tre di quegli scatti pubblicati nelle pagine del quotidiano “La Stampa” del 19 luglio 1956 e nella rivista “Sicilia” edita dall’Assessorato Regionale Turismo Sport Spettacolo nel settembre 1962: la modella fotografata da Elsa Haertter fra le colonnine del chiostro è l’attrice romana Lilli Cerasoli ( 1932 ).

La fotografa tedesca Elsa Haertter fu l'autrice degli scatti che utilizzarono come set il chiostro di Monreale.
La Haertter eseguì 632 fotografie che sono oggi conservate all'interno della Biblioteca Tremelloni del Tessile e della Moda di Milano
Qualche elemento in più sulla breve fortuna dei mosaici monrealesi nel campo della moda si ricava proprio dalle pagine del quotidiano, a firma di Anna Vanner.
“Gli americani – scriveva “La Stampa “ - hanno accolto la trovata con molto favore e in taluni casi addirittura con entusiasmo.
Se il Pucci, tra le sue segrete intenzioni, aveva anche quella di fare propaganda turistica alla Sicilia, v’è riuscito in pieno. Basti pensare che uno dei più importanti magazzini di New York, che ha sede nella Quinta Strada, ha addobbato le sue vetrine con enormi fotomontaggi che riproducono paesaggi siciliani.
In primo piano, naturalmente, figurano in bella mostra pantaloncini, camicette, gonne, abiti e costumi eseguiti con il famoso tessuto. Celebri dive, “ragazze copertina”, ricchissime signore americane hanno acquistato questi capi. Il folcloristico disegno italiano è stato alleggerito dal taglio classico e stilizzato dei pantaloni aderenti e delle camicette sbarazzine che si portano sciolte su casti costumini da sole.
Ma anche il disegno ispirato dai carrettini siciliani è tra quelli che piacciono maggiormente alle americane, così come i bassorilievi decorati, che sono stati riprodotti in tessuti di grande pregio artistico.
Ed è ancora la Sicilia di scena come ispiratrici di colori: il blu Siracusa, il verde Agrigento, il giallo Taormina, insieme con il turchese, il rosso, il viola ed il ciclamino…”.


Lo stilista Emilio Pucci - erede di una nobile famiglia fiorentina - ritratto con lo sfondo del Duomo di Firenze, in compagnia di una modella.
L'immagine è tratta dal sito http://www.emiliopucci.com/Index.aspx 



domenica 10 marzo 2013

L'INVERNALE BELLEZZA DI LEVANZO

Il paese di Levanzo in una fotografia antecedente al 1977, quando l'immagine venne pubblicata nell'opera "Capolavori della Sicilia",
edita da Cografa di Milano.
Lo scatto dall'alto dell'abitato di cala Dogana mostra il volto invernale dell'isola delle Egadi, quando turisti e viaggiatori disertano la bellezza
di quest'angolo dell'arcipelago trapanese

La fitta macchia verde di vegetazione sulla collina che sovrasta il piccolo centro abitato e le poche imbarcazioni ormeggiate in porto fanno supporre che questa non comune fotografia aerea di Levanzo sia stata scattata in un periodo invernale.
L’immagine riproposta da ReportageSicilia è attribuita all’Archivio Fotografico SAR di Milano e la sua datazione è antecedente al 1977.
In quell’anno, infatti, la fotografia della più piccola isola delle Egadi venne pubblicata nell’opera “Capolavori della Sicilia”, edita da Cografa di Milano con una prefazione di Sandro Chierichetti, all’epoca autore di testi divulgativi dedicati a numerose località turistiche italiane.
La Levanzo riprodotta in questo scatto scopre il suo volto meno conosciuto, perché slegato all’immagine di isola nota quasi esclusivamente per le sue attrattive estive: il mare cristallino, i profumi della sua vegetazione ricca di quasi 500 diverse specie e quel godere del trascorrere lento delle giornate, tale da regalare la voglia di sfilare l’orologio dal polso.
L’isola invernale offre però impressioni altrettanto forti: un rapporto più stretto con il centinaio di residenti, le passeggiate accompagnate dal rumore del frangersi delle onde sulla scogliera o quelle nelle campagne interne, magari alla ricerca di funghi.
Su questo ambiente ancor oggi sostanzialmente integro, pesano le incognite legate alle richieste di Shell e Northern Petroleum di avviare trivellazioni offshore a meno di 12 miglia dall’Area Marina Protetta delle Egadi: una prospettiva cui si oppongono i pescatori ed i rappresentati di Greenpeace, Legambiente e WWF http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=%2020410.







LE IMMAGINI DI POVERTA' CONTADINA DI ANDRE' MARTIN

Interno di un'abitazione di contadini siciliani nella seconda metà
degli anni Cinquanta dello scorso secolo.
L'immagine - al pari delle altre riproposte in questo post da ReportageSicilia - portano la firma del fotografo francese André Martin e furono pubblicate nel saggio di Danilo Dolci "Spreco-Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale", edito da Einaudi nel 1960

Le immagini riproposte in questo post da ReportageSicilia portano la firma del fotografo francese André Martin ( 1928-1999 ) e sono tratte dal saggio di Danilo Dolci “Spreco-Documenti ed inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale”, edito nel 1960 da Einaudi editore.
Gli scatti di Martin – originario della Normandia, laureatosi alla Scuola di Fotografia e Cinema di Parigi ed appassionato di etnologia africana, mediorientale e del Mezzogiorno d’Italia ( è nota la sua collaborazione con l’antropologo Ernesto De Martino ) - ritraggono scene domestiche di famiglie contadine siciliane, nella seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo.

Una mensa familiare in cui adulti e bambini
 si servono dalle vecchie padelle
in cui è stato cucinato il pranzo.
André Martin fu un fotografo interessato ai temi etnografici e la sua documentazione riguardò anche il Meridione d'Italia e la Sicilia.
Le sue immagini si legano strettamente ai temi della ricerca sociologica condotta in quegli anni nell'isola da Danilo Dolci 

La sensibilità descrittiva di Martin e la sua capacità di cogliere nella loro quotidianità domestica il disagio e la povertà della classe contadina ben si legarono alle denunce portate avanti in quegli anni da Danilo Dolci.

Una madre con i suoi numerosi figli.
Nella Sicilia rurale degli anni Cinquanta,
le donne pativano spesso il peso di numerose gravidanze ed aborti,
favoriti dalle scarse condizioni igieniche degli alloggi
e dalla promiscuità con gli animali domestici 

Nella prefazione di “Spreco” – opera ancor oggi in grado di descrivere le ragioni dell’antico sottosviluppo dell’economia agricola in Sicilia – il sociologo scriveva:
“Molti, come è frequente nelle zone arretrate, pur intelligenti e volenterosi, isolati nel mondo fermo, non possiedono gli strumenti tecnico-culturali-organizzativi per sapere cosa fare, come lavorare, come progredire: la terra, la vita rimangono, davanti a loro impotenti, doloroso caos…”.

Due donne mostrano una coperta realizzata mettendo insieme 
vecchi capi di abbigliamento dismessi.
Il risultato della cucitura sembra rappresentare quel "doloroso caos" in cui - secondo la definizione di Danilo Dolci - andava avanti la vita di molte famiglie contadine del tempo

Le immagini di André Martin colgono quella sorta di inconsapevole povertà del mondo rurale siciliano, incapace di comprendere le ragioni del suo penoso vivere quotidiano e di cercare quindi la strada del riscatto, affidata solo alla fede religiosa delle immagini che tappezzano le pareti.

Immagini religiose tappezzano le povere pareti
dell'abitazione di un bracciante.
La devozione religiosa appariva a molti contadini come
l'unica prospettiva di liberazione
dagli stenti quotidiani

Di quella sofferenza, le fotografie di Martin offrono una testimonianza priva di retorica: ecco così la promiscuità fra anziani e bambini in poveri ambienti mal illuminati, i sudici tavoli in cui tutti condividono lo scarso cibo cucinato su vecchie padelle, o i giacigli per i bambini sistemati sui pavimenti.
Oggi i contadini siciliani sono una presenza marginale nell’asfittico panorama dei lavoratori dell’isola; pochissimi vivono ancora le condizioni di povertà descritte da André Martin, ma il lavoro che nasce dai frutti della terra paga lo scotto di quel “doloroso caos” descritto da Dolci.

Un contadino mostra il suo mulo, prezioso strumento di lavoro e di trasporto nella Sicilia del tempo in cui la motorizzazione nel mondo agricolo era poco diffusa: una circostanza che ha accentuato l'isolamento di numerose famiglie e la loro possibilità di creare una normale rete di rapporti sociali ed economici

Le recenti parole dell’assessore regionale alle Risorse Agricole, Dario Cartabellotta – “bisogna superare l’isolamento politico e sociale dell’agricoltura e stabilire un’alleanza strategica con le politiche territoriali, distributive, agroindustriali, ambientali, sanitarie, culturali, infrastrutturali e turistiche” – nel loro stantio politichese fanno intendere come, 50 anni dopo l’appello di Danilo Dolci, i contadini siciliani siano ancora privi degli strumenti necessari al loro progredire.



SICILIANDO














"Fino a poco prima del 1860, l'idea di libertà in Sicilia fu perciò connessa con quella dell'indipendenza dell'isola. 
In conseguenza non v'ha nulla di sorprendente che la tradizione duri ancora oggi...
E dal giorno dell'ingresso di Garibaldi a Palermo principiò, fra i siciliani ed i governanti d'Italia d'ogni partito e d'ogni colore, quel colossale malinteso che dura pure adesso e che durerà chi sa per quanto ancora".
Franchetti-Sonnino, Inchiesta in Sicilia, 1876