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domenica 29 luglio 2012

L'ILLUSIONE DEL TEXAS RAGUSANO

Operai della "Gulf Oil Italia" impegnati in uno dei pozzi di petrolio scoperti a Ragusa, in contrada Pendente, nell'ottobre del 1953.
La storia di questi impianti è legata all'attività del geologo texano John Elmer Thomas, che dopo lo sbarco degli americani in Sicilia garantì alle compagnie statunitensi lo sfruttamento del giacimento ibleo.
Le aspettative create dalla scoperta dell'"oro nero" nella provincia iblea si esaurirono però in una ventina d'anni.
La fotografia riproposta da ReportageSicilia è opera di Pedone ed è tratta dal II volume dell'opera "Sicilia" edita da Sansoni nel 1962
Fu per primo Giuseppe Di Stefano, geologo all’Università di Palermo agli inizi del Novecento, a suggerire che i calcari bituminosi del ragusano indicassero la presenza di giacimenti di petrolio.
Qualche decennio dopo, un suo collega tornato in Sicilia insieme alle truppe alleate nel 1943, dopo una prima esplorazione risalente a dieci anni prima – John Elmer Thomas, originario non a caso del Texas – avrebbe definitivamente dato consistenza a quella intuizione.
Thomas verificò l’esistenza dell’”oro nero” ad un chilometro e mezzo dall’abitato di Ragusa, in contrada Pendente.

Una veduta dei giacimenti di contrada Pendente
tratta da una cartolina dell'epoca.
La produzione di greggio passò dalle 650.000 tonnellate annue del 1956
alle 300.000 del 1977.
La scoperta del petrolio non riuscì a cambiare il volto dell'economia ragusana, favorendo piuttosto la tendenza all'abbandono delle vecchie attività agricole della provincia 
Sembra che Elmer Thomas – all’epoca geologo per conto della “Minnehoma Oil Company”, poi passato alla “Gulf Oil Italia” – fosse arrivato nell’isola con il preciso compito di favorire l’accaparramento delle più proficue zone di estrazione a favore delle compagnie americane: una missione eseguita, a quanto pare, senza troppi scrupoli di coscienza.
“Nell’agosto del 1944 – scrive a questo proposito Giorgio Galli in “Enrico Mattei: petrolio e complotto italiano” - Thomas nel vagliare i documenti rintracciati dagli alleati negli archivi centrali dell’Agip e presso il ministero dell’Agricoltura dovette convenire che le prospettive minerarie dell’Italia erano ben più interessanti di quanto avesse fino ad allora immaginato. Da quel momento, Thomas e gli altri rappresentanti delle ‘Sette Sorelle’ si erano proposti di mettere le mani sulle ricchezze minerarie della Valle Padana e della Sicilia, mentre l’Agip, che ai loro occhi rappresentava l’ostacolo principale all’attuazione del piano, doveva essere liquidata”. In ogni caso, il geologo texano – morto nel 1949 - non riuscì a vedere con i propri occhi i primi barili di greggio in seguito estratti dai quattro pozzi di contrada Pendente, nell’ottobre del 1953, ad una profondità di 1890 metri.

Un'altra immagine tratta da una cartolina del tempo dell'attività dell'impianto petrolifero di contrada Pendente.
La "Gulf Oil Italia" ottenne la concessione dello sfruttamento vincendo la concorrenza dell'AGIP di Enrico Mattei, grazie agli stretti rapporti dell'azienda con i vertici della Regione Siciliana
e le 'coperture' statunitensi
Ad accaparrarsi lo sfruttamento del giacimento ragusano, già oggetto di studio dell’Agip nel 1927 – ed il primo mai esplorato con successo nell’isola a fini commerciali – fu proprio la “Gulf Oil Italia”, diretta allora dall’avvocato Nicola Pignatelli d’Aragona Cortes.
Grazie ad i suoi appoggi alla Regione – che il 20 marzo 1950 promulgò una legge per il rilascio di concessioni ad enti e società italiane e straniere - Pignatelli riuscì ad ottenere a fini di esplorazione e sfruttamento ben 439.000 ettari di suolo siciliano.
Le vicende dell’epoca dicono che il Pignatelli vinse la concorrenza di un altro pretendente dell’area ragusana – Enrico Mattei – circostanza che spiega forse le parole sprezzanti usate nel 1956 da Giorgio Bocca per definire proprio sul “Giorno” di Mattei il duo Elmer Thomas-Pignatelli: “un trafficante texano ed il suo socio in affari, il primo con un fez rosso in testa perché diceva di essersi fatto musulmano, il secondo vestito da Caraceni”.
In questo contesto, il business del petrolio sembrò rappresentare per il territorio di Ragusa una svolta storica, ancora oggi visibile nel moderno e non sempre apprezzabile tessuto edilizio di una cittadina sino ad allora strutturata intorno alle sue splendide architetture barocche. La popolazione – richiamata dal sogno di un’attività industriale legata alle attività di estrazione – abbandonò i centri rurali e le campagne della provincia, portando in 5 anni gli abitanti di Ragusa da 10.000 a 60.000 unità.

Una veduta di Ragusa durante gli anni del "sogno texano"
della provincia iblea.
Scrisse nel 1962 lo studioso Aldo Pecora che "per la mancata completa verticalizzazione della lavorazione dei prodotti petroliferi sul posto, i nuovi posti di lavoro non ricevettero un forte impulso... la situazione demografica e quindi le condizioni sociali della città sono nel complesso piuttosto critiche, perchè il petrolio ha esaltato le speranze ed ha stimolato le correnti migratorie dall'esterno..."
Inizialmente, il miraggio dello sviluppo sembrò essere confortato dai dati: la produzione giornaliera di greggio di contrada Pendente passò dai 500 barili del 1953 ai 18.000 del 1957.
Insieme a quello di petrolio, un fiume di denaro invase le casse degli enti locali ragusani: in otto anni, la “Gulf Oil Italia” versò rispettivamente al Comune ed alla Camera di Commercio una percentuale dei proventi pari ad un miliardo e mezzo ed a 560 milioni di lire. Tra il 1952 ed il 1958 il numero degli autoveicoli in provincia aumentò del 260 per cento; il reddito medio individuale salì del 128 per cento e quello dei depositi bancari del 161 per cento.
Ben presto, però, le aspettative procurate dall’improvvisa rivoluzione produttiva fecero i conti con i dati reali. Anzitutto, il petrolio ragusano si rivelò molto denso e con ingenti percentuali di zolfo; le esplorazioni nei comuni di Giarratana, Chiaramonte Gulfi, Licodia Eubea, Buccheri e Comiso non diedero poi i risultati sperati.
Nel tentativo di ricavare i massimi profitti dall’attività di estrazione, la “Gulf Oil Italia” decise allora di automatizzare le attività lavorative, riducendo il numero di operai da 600 ad appena 84. Complice anche l’assenza delle fondamentali infrastrutture viarie locali, la compagnia americana decise quindi di procedere all’attività di raffinazione a Vittoria, dove erano già in funzione impianti utili a questo scopo.
Sulla lunga distanza, le speranze circa la creazione di un nuovo Eldorado siciliano a Ragusa si rivelarono illusorie.
Nel 1962, lo studioso Aldo Pecora poteva così notare che “per la mancanza completa verticalizzazione della lavorazione dei prodotti petroliferi sul posto, i nuovi posti di lavoro non ricevettero un forte impulso: le industrie dell’asfalto e dei bitumi assorbono circa un migliaio di lavoratori, ed un altro migliaio sono gli addetti del settore petrolifero. La situazione demografica e quindi le condizioni sociali della città sono nel complesso piuttosto critiche, perché il petrolio ha esaltato le speranze ed ha stimolato le correnti migratorie dall’esterno… E’ evidente, pertanto, che il fenomeno della disoccupazione sia rimasto piuttosto grave, reso anche più scottante dall’ancora forte natalità…”.
Col passare degli anni, la capacità produttiva dei giacimenti ragusani andò scemando. Fu allora che la “Gulf Italia” – dopo averne esaurito completamente le potenzialità – li cedette all’AGIP, proprio la compagnia cui aveva strappato la concessione di sfruttamento.
La produzione di greggio passò dalle 650.000 tonnellate annue del 1956 alle 300.000 del 1977; cinque anni dopo, i 22 pozzi erano già quasi del tutto inattivi, ed i livelli occupazionali pesantemente intaccati.

Anziani di Ragusa con il tipico scapolare dinanzi la cattedrale
in piazza San Giovanni.
L'attività di estrazione del greggio provocò una corrente migratoria dalle zone rurali verso il capoluogo, che portò in cinque anni i suoi residenti
da 10.000 a 60.000.
All'ingente afflusso di aspiranti lavoratori non corrispose però
un'adeguata offerta occupazionale. 
L'immagine di Josip Ciganovic è pubblicata su "le Vie d'Italia"
del TCI dell'aprile 1956
Ai nostri giorni, nulla quasi più rimane del ricordo del “sogno ragusano” promosso dal discusso geologo Elmer Thomas; nel frattempo si discute e si polemizza sull’ipotesi di trivellare offshore il mare siciliano, alla ricerca di nuovo petrolio.
Alle preoccupazioni per i rischi ambientali si unisce lo scetticismo sulla reale utilità economica di quest’attività, vista la probabile esiguità dei giacimenti: un realismo certo assai lontano dai ciechi entusiasmi di chi, 60 anni fa, si illuse di poter ritrovare in terra iblea un pezzo di Texas.







martedì 10 luglio 2012

GLI AUTOGRAFI NEGATI DEI VANDERBILT

Il bar San Giorgio a Castelmola, la cui terrazza - protesa verso Taormina ed il mar Jonio - è stata meta di visitatori illustri negli anni in cui la cittadina messinese era uno dei luoghi preferiti dal 'jet set' internazionale. Don Vincenzo Blandano - che fondò il locale - avviò la tradizione di raccogliere in un registro le firme dei clienti più famosi: una consuetudine che ha fatto i conti con il rifiuto della ricchissima famiglia dei Vanderbilt.
L'episodio è citato nel libro "Dal Vesuvio alla Sicilia" dello scrittore francese Roger Peyrefitte, abituale visitatore di Taormina e dintorni.
L'immagine porta la firma di Josip Ciganovic ed è tratta dal II volume 'Sicilia' edito da Sansoni nel 1962  
Nel sito del bar San Giorgio di Castelmola http://www.barsangiorgio.com/ – locale fra i più noti e frequentati in Sicilia da folle di visitatori stranieri, in quel luogo plasmato dalle logiche dell’economia del turismo che è Taormina – si ricorda la storia quasi centenaria di quella che agli inizi fu una semplice locanda.
Non mancano ovviamente i riferimenti ai tanti personaggi internazionali della cultura, della politica e dello spettacolo che hanno calcato la sua terrazza panoramica, protesa verso i colori del cielo e del mare dello Jonio.

Gloria Vanderbilt, una delle più note esponenti dalla famiglia di imprenditori americani che nei decenni passati frequentò regolarmente Taormina.
La fotografia, di Horst P.Horst, è tratta da http://froulala.blogspot.it/2011/05/bookworm-weekend-world-of-gloria.html
I proprietari del bar – a cominciare dal vecchio don Vincenzo Blandano – hanno conservato memoria scritta di quelle visite in registri dove sono tracciate le grafie di quegli illustri nomi di avventori; il primo della lista citata nel sito è quello dello scrittore francese Roger Peyrefitte.
L’autore de “Le amicizie particolari” – si legge – “amava scrivere i suoi libri seduto sulla terrazza di questo bar godendo del silenzio del piccolo borgo e del meraviglioso panorama che si poteva ammirare. Proprio lui è rimasto colpito dal libro dei centomila nomi di cui narra nel suo libro “Dal Vesuvio all’Etna, cioè la meravigliosa raccolta di autografi accumulata negli anni…”.

Un ritratto fotografico di Roger Peyrefitte.
L'autore de "Le amicizie particolari", scrisse che Napoli e la Sicilia "mi sembrano la parte eletta dell'Italia: non deve destare sorpresa che i Greci abbiano, un tempo, colonizzato proprio quei lidi, perchè è in essi che le seduzioni della Grecia si aggiungono a quelle dell'Italia"
Ora, rileggendo quelle pagine di Peyrefitte dedicate a Castelmola ed al bar San Giorgio, si scopre la curiosa storia della serata in cui quattro componenti della ricchissima famiglia Vanderbilt, dopo avere goduto del colpo d’occhio offerto dalla terrazza del locale, rifiutarono la firma di quel registro.
Il racconto di Peyrefitte – basato forse sui ricordi del vecchio Blandano – ci informa che i Vanderbilt, appena gettata l’ancora del proprio yacht nella baia di Giardini, decisero subito di godere della vista del tramonto dal San Giorgio.
Accolti da una banda locale che intonava l’Aida - nonché da sindaco, consiglieri comunali, curato e da un carabiniere sull’attenti – i componenti della ricchissima famiglia americana scesero dalla Rolls Royce guidata dall’autista.
“In un silenzio da chiesa – non però da chiesa siciliana – i Vanderbilt si diressero verso il caffè. Salirono i pochi gradini della scaletta esterna e guardarono il muro. Blandano – scrive Peyrefitte - intuì la loro muta interrogazione e additò loro, in fondo alla scala, la scaletta che portava alla terrazza. “Hooo!” fece Mrs Vanderbilt senior… Il tramonto del sole fu particolarmente bello quel giorno; si sarebbe detto che tutti i colori dell’arcobaleno si erano dati appuntamento per ammaliare i Vanderbilt: l’orizzonte era oro e verde, la terra porpora, il mare e l’Etna rosa”.

Ancora ai nostri giorni il bar San Giorgio raccoglie in un registro
le firme dei suoi visitatori.
Il rifiuto dei Vanderbilt a lasciarvi un autografo - e con esso la speranza di una loro donazione al paese -  rimane nella memoria dei castelmolesi come il ricordo del "pranzo dei Vanderbilt".
L'immagine è tratta dal sito http://www.barsangiorgio.com/
La convinzione di Blandano e di tutti i castelmolesi presenti era che lo stupore e l’ammirazione vissuti su quella terrazza inducessero i Vanderbilt ad una generosa donazione: un assegno per un importo in dollari e di entità tale da finanziare addirittura il potenziamento della rete idrica di Castelmola.
I ricchissimi ospiti americani decisero di ripagare Blandano in tutt’altro modo: scesi dalla terrazza, riguadagnarono l’abitacolo della Rolls Royce, non prima di avergli regalato un semplice “thanks!”
“Quando li vide salire in macchina – ricorda ancora lo scrittore francese - la disperazione gli ridette animo: afferrato uno degli albums delle centomila firme, si precipitò in piazza. In mancanza di meglio, gli restava di prendere l’autografo dei Vanderbilt. “Thanks!” disse di nuovo Mrs Vanderbilt senior. Lo sportello dell’auto sbattè sul naso del signor Blandano. Questi rimase così interdetto che l’autista ne ebbe pietà: si cavò di tasca una stilografica e con un magnifico gesto tracciò la propria firma sull’album che il caffettiere teneva aperto. Dentro la vettura, le labbra dei Vanderbilt ebbero un sorriso rapido come un lampo”.
Anni dopo, Gloria Vanderbilt avrebbe fatto più volte ritorno a Taormina, animando le fastose serate del jet set locale ed internazionale; non sappiamo se abbia mai fatto visita alla terrazza del San Giorgio, magari per porre la firma su quel registro ignorato in precedenza dalla sua famiglia.
In ogni caso, la storia di quegli autografi negati rimane ancora forte nella memoria dei castelmolesi, nel ricordo della sera del “pranzo dei Vanderbilt”.