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giovedì 28 giugno 2012

LA GRANITA DI LIMONE DI NENE' E LULU'

Un gelataio con il suo carretto nella Caltanissetta degli inizi
degli anni Sessanta.
L'immagine è attribuita ad Anfosso ed è stata pubblicata sul numero di settembre del 1962 della rivista del TCI "Le Vie d'Italia" 

“- E che granita è? – fece Nenè, disgustato: ma dopo avere scolato, in parte sul vestito, l’ultimo sorso squagliato. – La granita è quella di don Pasqualino: appena arrivo a Nisima ne prenderò un pozzetto pieno.
- E’ meglio di quella di don Pasqualino – disse Lulù: per contraddirlo, senza convinzione.
- Non capisci niente: questa è fatta di acqua, limonina e zucchero; don Pasqualino la fa invece col limone, e ci mette anche il bianco dell’uovo – spiegò Nenè con competenza”.
Nenè e Lulù sono i due fratellini che accompagnano il viaggio in treno dell’ingegnere Bianchi fra Roma ed Agrigento, nel racconto di Leonardo Sciascia “Il mare colore del vino”; ad un loro dialogo, appunto, lo scrittore affida l’elenco degli ingredienti necessari per ottenere una buona granita di limone, che in Sicilia non può che accompagnarsi ad una soffice e fresca brioche, da servire rigorosamente a parte.
Ho ripensato a quella discussione fra Nenè e Lulù pochi giorni fa, gustando ottime granite di limone e di mandorla in una gelateria romana nel quartiere Pigneto, gestito con cortesia e bravura da Carla.
Certo, la brioche – di tipo industriale – non possedeva la fragranza di quelle servite in molte gelaterie dell’isola; ma è indubbio che quelle granite ricordavano gli standard artigianali siciliani che purtroppo sono stati nel frattempo persi da tanti gelatai dell’isola.
In quanto a Leonardo Sciascia ed ai suoi scritti in tema di gelati, il sospetto è che lo scrittore agrigentino fosse un cultore della specialità.
Sulle pagine del quotidiano palermitano ‘l’Ora’, nel 1965, apparve infatti una sua celebrazione del gelato al gelsomino, specialità oggi quasi del tutto scomparsa dalle liste dei gusti offerti dalle gelaterie.
Nel suo intervento, Sciascia riportava anche la ricetta del conte Lorenzo Magalotti, letterato dell’aristocrazia fiorentina del secolo XVIII: “torli d’uovo appena cotti, zucchero in abbondanza, un po’ di odor di muschio e d’ambra, una trentina di gelsomini, due limoncini; il tutto bene agitato in ‘tersa porcellana’, poi passato attraverso ‘finissima stamigna’ poi messo nella sorbettiera e la sorbettiera calata in un pozzetto di ghiaccio”.

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