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mercoledì 23 maggio 2012

FALCONE, VENT'ANNI SENZA VERITA'

Palermitani in piazza Politeama pochi giorni dopo la strage di Capaci.
 Le rivendicazioni e le domande scritte nei loro cartelli rimangono ancor oggi senza risposte, in un Paese che commemora ma che rimane incapace di raccontare la verità della propria storia 

Palermo e l’Italia in queste ore stanno ricordando i vent’anni dalla strage di Capaci. L’uccisione di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani è un evento già passato alla storia del Paese, senza che però le ragioni profonde e più segrete di quell’eccidio siano state spiegate.

Due ragazzi al cospetto dell'albero di magnolia dinanzi l'abitazione palermitana di Giovanni Falcone, in via Notarbartolo.
Dalle ore successive alla strage, questo luogo è diventato un luogo di riferimento di commemorazioni o semplici omaggi alle vittime di Capaci

Il bisogno di una piena verità su quell’attentato – bisogno che riguarda anche i motivi della strage costata la vita a Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Eddie Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina, il 19 luglio di vent’anni fa – è l’oggetto delle rivendicazioni di questa giornata di commemorazioni.

Il 'Comitato dei lenzuoli' fu uno dei movimenti spontanei che dopo la strage di Capaci mobilitò l'impegno civile di migliaia di palermitani.
 A distanza di due decenni, la spinta di quella coscienza pubblica antimafia si è affievolita, mentre Palermo attende un irrinunciabile riscatto sociale ed economico


Il significato dei “vent’anni dalle stragi” – così da giorni televisioni e giornali stanno ricordando i due decenni trascorsi dal cratere di Capaci e dalla devastazione di via D’Amelio – è quello del ricordo: dei magistrati e degli uomini di scorta uccisi, certamente, ma soprattutto di quelle ragioni negate che rendono quelle stragi il simbolo di una Sicilia e di un’Italia capaci di commemorare ma incapaci di raccontare le verità della propria storia.

La 'catena umana' organizzata a Palermo il 23 giugno 1992,
un mese dopo la strage di Capaci.
 Circa 5.000 palermitani unirono idealmente il Palazzo di Giustizia con l'albero dinanzi l'abitazione del magistrato, da allora chiamato 'l'albero Falcone' 

ReportageSicilia ricorda oggi quegli eventi di vent’anni fa riproponendo alcune immagini che documentano le richieste di verità  che tanti palermitani gridarono in strada, nelle ore e nei giorni successivi all’uccisione di Giovanni Falcone, 8 mesi prima che lo stesso magistrato, dopo l'uccisione di Libero Grassi a Palermo, esprimesse questa considerazione: “Non è retorico né provocatorio chiedersi quanti altri coraggiosi imprenditori e uomini delle istituzioni dovranno essere uccisi perché i problemi della criminalità organizzata siano finalmente affrontati in modo degno di un Paese civile”
Le fotografie pubblicate in questo post sono tratte dal saggio "Magistrati in Sicilia", Interventi pubblici di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a Palermo, a cura di Marianna Bartoccelli, Claudia Mirto ed Anna Pomar, Ila Palma 1992.

"Non è retorico né provocatorio chiedersi quanti altri coraggiosi imprenditori ed uomini delle istituzioni dovranno essere uccisi perchè i problemi della criminalità organizzata siano finalmente affrontati in modo degno di un Paese civile"
Giovanni Falcone, settembre 1991, intervento dopo l'omicidio a Palermo dell'imprenditore Libero Grassi

martedì 22 maggio 2012

LA SICILIA GIOVANE CHE RINUNCIA AL FUTURO

In Sicilia, il 35,7 per cento dei giovani d'età compresa fra i 15 ed i 29 anni, anche volontariamente, non studia e non lavora.
Quello isolano è il dato percentuale italiano più alto fra tutte le regioni, e di gran lunga superiore alla media nazionale europea, fissata al 15,3 per cento. L'indicazione è stata resa nota oggi dall'Istat, secondo cui in Sicilia una famiglia su quattro vive in condizioni di povertà.
Viene allora da pensare alla difficile condizione dello sviluppo nell'isola, ed all'attualità dell'impegno di personaggi come Danilo Dolci, che del riscatto di una piccola comunità di siciliani negli anni Cinquanta - quella di Partinico e Trappeto - fece una battaglia che partì proprio dall'educazione scolastica e dalla promozione del lavoro.
L'immagine postata porta la firma di Enzo Sellerio e fa parte del suo reportage fotografico realizzato nel 1954 a Trappeto nel 'Borgo di Dio', il centro fondato da Danilo Dolci.
Lo scatto è tratto dall'opera 'Enzo Sellerio, fotografie 1950-1989', Federico Motta Editore, 2000

venerdì 18 maggio 2012

PANNI AL SOLE DELL'ISOLA

Camicie, maglie e teli da bagno al vento ed al sole in una strada del centro storico di Siracusa.
Nei quartieri popolari dell'isola, ancora ai nostri giorni l'asciugatura della biancheria in strada è una pratica diffusa, segno anche dell'indigenza e della precarietà della vita quotidiana di interi nuclei familiari.
La fotografia porta la firma di Fosco Maraini ed è tratta dal libro dello scrittore francese Roger Peyrefitte "Dal Vesuvio all'Etna", pubblicato nel 1954 da Leonardo da Vinci Editrice

Panni stesi in strada, fra il prospetto di vecchi edifici quasi attaccati l’uno all’altro, a coprire teste e colonne barocche, o pietre medievali od intonaci dagli strati ormai secolari.
Lo spettacolo della biancheria esposta al sole sopra la testa dei passanti è ancora ricorrente in Sicilia, finendo col diventare una componente dell’architettura urbana; e specialmente in quei quartieri popolari dove cubature degli appartamenti e assenza di lavatrici che insieme lavano ed asciugano costringono a rivelare a cielo aperto la composizione dei nuclei familiari.

Un balcone barocco fa da sfondo ad una teoria di panni stesi al sole.
La biancheria così finisce con diventare in Sicilia anche un elemento popolare di decorazione urbana in contesti architettonici secolari.
Anche questa immagine, scattata da Fosco Maraini nelle province orientali dell'isola, è tratta dal volume "Dal Vesuvio all'Etna"  
Ai nostri giorni, l’esposizione dei panni al sole è spesso bandita dalle amministrazioni comunali, in nome di quel “decoro pubblico” che però convive con i cumuli di spazzatura agli angoli delle vie.

Lenzuola al sole ed al vento di una strada di Licata, nell'agrigentino.
L'immagine, attribuita al fotografo palermitano Armao, è tratta dall'opera "Sicilia" edita da Sansoni nel 1961
Malgrado i divieti e le riserve, lo spettacolo dei panni stesi per strada continua a connotare gli spazi urbani in quei centri storici dove la pubblica asciugatura dei panni è insieme tradizione e necessità popolare.

Vestiti, biancheria intima e lenzuola stesi su canne e fil di ferro in questo vicolo palermitano
formano quasi una composizione d'arte moderna.
In strada, donne e bambini completano il quadro di scena popolare dietro il quale si nascondono storie familiari di indigenza economica e lavori precari.
La fotografia è di Josip Ciganovic ed è tratta anche in questo caso dall'opera "Sicilia" edita da Sansoni 
In questo post, ReportageSicilia ripropone alcune fotografie con le quali, negli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo, gli autori degli scatti colsero con vena folklorica quel tratto dell’indigenza nell’isola.

Ancora panni palermitani in strada, questa volta in uno scatto realizzato dal fotografo Ezio Quiresi in via dei Cassari.
L'immagine è tratta dal libro del TCI "Sicilia", edito nel 1961
Ai nostri giorni, invece, la visione dei panni svela con certezza storie di lunga disoccupazione, cassa integrazione o di lavori saltuari: quel ‘folklore’ del disagio economico che finisce con l’allontanare la comprensione dei reali drammi di migliaia di famiglie siciliane.

Vicolo Madonna della Volta, nel quartiere Albergheria di Palermo.
In questo caso, la biancheria è stesa su un filo che pende sulla parete di un muro adiacente il marciapiede.
La fotografia, realizzata da ReportageSicilia, coglie la dignitosa e perdurante abitudine popolare siciliana ad utilizzare la strada come un'appendice logistica della vita domestica

venerdì 11 maggio 2012

CARA ACQUA DI SICILIA

Il banchetto di vendita di un 'acquarolo' siciliano,
conservato presso il Museo 'G.Pitrè' di Palermo.
L'immagine è tratta dal numero 65 della rivista 'Sicilia', edita da Flaccovio Palermo
ReportageSicilia ringrazia Paolo Di Salvo per la collaborazione nella scrittura di questo post e per la concessione di materiale tratto dal suo archivio documentario

Il bene acqua rappresenta da sempre una risorsa preziosa per la Sicilia, anche in tempi in cui il problema della sua gestione e del suo risparmio non investiva ancora la coscienza dell’intera comunità internazionale.
Ancora ai nostri giorni, vi sono province isolane in cui la distribuzione non è quotidiana – quelle di Agrigento e di Caltanissetta, dove sono in vigore i turni di erogazione - o paesi in cui – come Vittoria – è stata da pochi mesi avviata l’adozione dei contatori dell’acqua in edifici pubblici e privati.

Un carrobotte per la distribuzione di acqua a Licata, nell'agrigentino.
L'immagine non è datata, ma ancor oggi in molte zone urbane della stessa provincia la distribuzione idrica è regolata secondo turni giornalieri e fasce orarie.
Agrigento detiene poi il primato nella graduatoria siciliana del caro delle tariffe, 11 volte superiori a quelle di Milano.
La fotografia - attribuita a PGS - è tratta dall'opera di Aldo Pecora 'Sicilia', pubblicata nel 1974 da UTET
A leggere le cronache quotidiane della mala amministrazione, poi, la Regione Siciliana non ha certo brillato in molti interventi nel settore delle risorse idriche, soprattutto per evitarne la dispersione o, addirittura, il furto ( episodi che hanno riguardato qualche anno fa il territorio di Gela ).
L’ultimo esempio di cattiva gestione – quello cioè del mancato completamento delle infrastrutture di importanti bacini idrici nell’isola, previsto da un finanziamento strutturale europeo di 610 milioni di euro per il periodo 2000/2006 – è stato oggetto di una recente segnalazione della Corte dei Conti regionale.

Una noria fotografata da Fosco Maraini in Sicilia occidentale tra la fine del secondo dopoguerra e gli inizi degli anni Cinquanta.
 L'immagine è tratta dalla rivista del TCI 'le Vie d'Italia' del febbraio 1953
I vecchi emiri arabi ed i loro tecnici che ebbero in mano la gestione dell’acqua nella Sicilia di mille anni fa, insomma, riuscirono a fare meglio di buona parte della classe dirigente regionale dei nostri tempi. Risale infatti al periodo della dominazione araba la costruzione in Sicilia, sopra e sotto il livello del terreno, di numerose reti di captazione e canalizzazione dell'acqua.

Un gruppo di donne trasporta quartare contenenti acqua nelle campagne agrigentine di Montallegro.
La fotografia è tratta dal volume 'Sicilia' edito dal TCI nel 1932 
Questi canali (qanat) venivano realizzati con pendenze e dimensioni tali da limitare l'erosione del suolo e ridurre l'evaporazione dell’acqua che, una volta incanalata, veniva sollevata in superficie per mezzo di norie a tazze o senie e, successivamente, accumulata in apposite cisterne (gebbie) per essere, infine, distribuita.

Vasche per irrigazione nelle Madonie.
Ritardi di spesa e limiti strutturali rendono le infrastrutture idriche siciliane insufficienti a garantire una razionale distribuzione di acqua. La Corte dei Conti regionale ha recentemente denunciato gravi limiti nell'impiego di fondi europei destinati al potenziamento di dighe e bacini.
Anche questa immagine è accreditata a PGS ed è tratta
dall'opera 'Sicilia' di Pecora
In epoca recente, prima della realizzazione delle reti cittadine di distribuzione idrica, venivano utilizzati per l’approvvigionamento, oltre a contenitori di terracotta (quartari e lanceddi), i carri-botte.

Il chiosco di 'Carminu' a Bagheria, testimonianza ormai scomparsa del rapporto fra siciliani
ed il consumo quotidiano dell'acqua.
L'immagine, messa a disposizione di ReportageSicilia da Paolo di Salvo, porta la firma Studio 7 Battista
Infine, c’erano i chioschi e l’acquaiolo ambulante. Dei primi, rimane ancora qualche traccia in città e paesi della Sicilia, anche se ai loro clienti vengono offerte per lo più bottiglie di birra, bevande gasate o succhi di frutta industriali dai nomi esotici. E’ scomparsa del tutto invece la figura dell’acquaiolo, relegata ormai alla testimonianza di vecchie fotografie od alla memoria dei siciliani più anziani.

Insieme ai chioschi, è ormai scomparsa del tutto nell'isola la figura dell'acquaiolo, in grado di approntare per strada il suo banchetto con l'occorrente per rifocillare il passante assetato.
Una di queste storiche figure è ritratta in questa fotogarfia - attribuita a Brogi - tratta dal libro 'Sicilia!, edito da Remo Sandron nel 1929
Ciò che rimane ai nostri giorni attuale, piuttosto, è il caro-acqua che chiama in causa le tariffe isolane, fra le più alte in Italia. Dati forniti dall’Osservatorio di Cittadinanzattiva indicano infatti che negli ultimi 5 anni, il costo medio è aumentato del 17 per cento.

Lavaggio di panni a Racalmuto, nell'agrigentino, in una immagine realizzata una sessantina di anni fa da Pedone e pubblicata nell'opera 'Sicilia', edita da Sansoni nel 1962.
La gestione delle risorse idriche - in particolare nelle province più interne dell'isola - paga oggi decenni di ritardi strutturali
Proprio Agrigento – capoluogo di provincia dove la distribuzione procede a turni - è la città isolana dove l’acqua ha il prezzo annuo più alto, addirittura 11 volte in rispetto a Milano ( 445 euro ): un esempio – anche nel settore delle risorse idriche - dei mille paradossi siciliani.









mercoledì 9 maggio 2012

EGADI, LA BATTAGLIA DELL'ALISCAFO

L'attracco del traghetto 'Lampedusa' al porto di Favignana.
L'immagine venne pubblicata sulla rivista 'le Vie d'Italia'
 nel febbraio del 1955. Il reportage di Flavio Colutta - autore anche delle fotografie - sottolineava la scarsa frequenza dei collegamenti fra le isole Egadi ed il porto di Trapani: una questione tornata di attualità quasi sessat'anni dopo, in conseguenza della destinazione di un aliscafo dal mare trapanese alle rotte
 fra Milazzo e le isole Eolie

“Quattro volte la settimana, il lunedì, il martedì, il sabato e la domenica ci va un vecchio vapore. Il piroscafo che collega la Sicilia alle Egadi è bianco e pulito, con due classi per i passeggeri, e si chiama ‘Lampedusa’; parte da Trapani e fa scalo alle isole che nell’arcipelago sono abitate, ultima Marettimo. Non è un lungo viaggio, col mare buono; sono poche ore, una per Levanzo, una e quaranta minuti per Favignana, quattro per Marettimo, la più lontana… In quest’ultima, il ‘Lampedusa’ ci va soltanto due volte la settimana, il martedì e la domenica e per cinque giorni su sette l’isola vive nel più assoluto isolamento. Capita spesso che il vapore non possa avvicinarsi; in quei paraggi le mareggiate sono frequentissime…”
Con queste parole, Flavio Colutta descriveva fa la condizione dei collegamenti navali fra le isole Egadi e la Sicilia.
Il reportage di Colutta venne pubblicato sulla rivista del TCI ‘le Vie d’Italia’ pubblicata nel febbraio del 1955, e si concludeva con l’appello “a togliere le isole dall’incredibile isolamento in cui vivono, aumentando le corse del piroscafo che le unisce alla Sicilia – alla madrepatria – da cui le separa un abisso marino reso ancora più impressionante dalle precarie comunicazioni”.
A distanza di quasi 60 anni da quell’articolo – e malgrado l’avvento dei più moderni e veloci aliscafi - i collegamenti marittimi fra le tre Egadi e la loro “madrepatria” sono oggetto di nuove lamentele: il sindaco di Favignana, Lucio Antinoro, chiede infatti in questi giorni la restituzione alle Egadi di un aliscafo della Siremar – il ‘Mantegna’ – il cui servizio è stato dirottato verso le isole Eolie.

Turisti a passeggio nel corso principale di Favignana nella seconda immagine riproposta da ReportageSicilia e tratta dall' articolo di Flavio Colutta.
I collegamenti con traghetti ed aliscafi sono per le isole minori anche la fonte primaria di reddito
La questione è finita anche all’attenzione della Prefettura di Trapani, della Presidenza della Regione e del ministero dei Trasporti; l’approssimarsi della stagione turistica estiva – fonte cospicua dei magri bilanci delle isole minori – ha probabilmente contribuito a sollevare la protesta.
Per fare della ‘battaglia dell’aliscafo’ fra Egadi ed Eolie almeno motivo di recupero della memoria – ed in attesa dell’epilogo della vicenda - ReportageSicilia ripropone tre fotografie di Favignana che accompagnarono quel reportage del 1955.

Questo scorcio di Favignana svela alcuni aspetti dell'architettura dell'isola: l'utilizzo dei conci di tufo tratti dalle cave locali ed i riferimenti 'colti' all'arte classica, frutto di quel gusto liberty legato al ruolo che la famiglia Florio ebbe nella vita economica delle Egadi 



sabato 5 maggio 2012

ESTATE IN UN BAGLIO AGRIGENTINO

Baglio della campagna agrigentina in una fotografia scattata una sessantina di anni fa da Armao-Palermo

La didascalia che accompagna la fotografia di questo baglio agricolo – immagine attribuita ad Armao-Palermo e pubblicata su ‘Sicilia’ collana ‘Attraverso l’Italia’ del TCI ( 1961 ) – fornisce la semplice indicazione “paesaggio ampio e solenne nei dintorni di Agrigento, verso l’interno della provincia”.
In effetti, la bellezza del soggetto rende quasi superflua ogni sua altra descrizione.
Guardando con attenzione la fotografia si possono scoprire dei particolari che animano il paesaggio apparentemente privo di presenza umana, rivelando – o anche, semplicemente suggerendo – alcuni elementi che raccontano una giornata di vita rurale siciliana, in una giornata di pieno sole estivo.
Anzitutto, si riesce a scorgere un gruppo di contadini che lavora proprio al limite fra i confini di due appezzamenti di terreno; l’obiettivo del fotografo ha poi fissato un altro solitario bracciante lungo una strada sterrata che conduce probabilmente all’ingresso principale del baglio.
Al centro della struttura colonica – formata da più corpi alloggiativi e di servizio, tutti collegati fra loro ( camere da letto, ambienti adibiti a cucina, fienili, stalle, magazzini per l’ammasso delle colture e probabilmente cantine ) – il cortile ospita tre carretti per il trasporto di merci e persone, da e per i campi di quello che un tempo era stato forse un vasto feudo della campagna agrigentina.
Il baglio – costruito con pietrame e malta locali – mostra qualche segno di degrado strutturale, soprattutto sui piani di copertura costruiti con travi di legno, canne, paglia e coppi in terracotta.
Resta insoluta l’identificazione del luogo dello scatto, che potrebbe essere suggerita da qualche lettore di questo post.
Naturalmente, ReportageSicilia spera anche di sapere in quali condizioni sia oggi questo bellissimo baglio: forse trasformato in agriturismo, forse - ed è anche una speranza - utilizzato ancora per l’uso originario, quello cioè del lavoro agricolo.



venerdì 4 maggio 2012

LA DIFFICILE STRADA DELLO SVILUPPO NISSENO

Mietitori che dormono in piazza a Villalba - negli anni Sessanta dello scorso secolo - in attesa dell'alba.
Il paese della provincia di Caltanissetta - in quegli anni famoso per la figura del capomafia Calogero Vizzini - è incluso nella lista dei comuni nisseni coinvolti in un progetto di istituzione di una "zona franca della legalità".
Il piano, promosso da Regione Siciliana e ministero dell'Interno, dovrebbe promuovere lo sviluppo libero da condizionamenti criminali di una delle più povere province d'Europa.
L'immagine è tratta dal saggio di Michele Pantaleone 'Il sasso in bocca', Cappelli Editore, 1970

Ci sono molti esempi di quali siano le condizioni di estremo disagio sociale ed economico in cui – ancora nel 2012 e malgrado la difficile situazione italiana - vive la Sicilia.
Una delle aree più sofferenti è certamente la provincia di Caltanissetta, da molti anni agli ultimi posti delle classifiche nazionali in tema di occupazione, qualità della vita e di istruzione scolastica.

Anziani di San Cataldo, altro centro agricolo del nisseno nella lista dei paesi inclusi nella "zona franca della legalità".
Il progetto intende favorire gli investimenti economici, ridando così linfa alla società locale.
Senza un profondo cambiamento di ruoli e compiti  della politica siciliana, tuttavia, ogni ipotesi di sviluppo dell'isola rimane un'ingannevole aspettativa.
L'immagine è tratta dal volume 'Così ho tradito Cosa Nostra. Leonardo Messina, la carriera di un uomo d'onore', di G.Martorana e S.Nigrelli, edito nel 1993 da Musumeci Editore 

E’ una sofferenza complessiva del territorio, aggravata pure dalla tradizionale ingerenza della mafia, i cui interessi penalizzano – tramite le estorsioni e il condizionamento dei pochi appalti - buona parte dell’asfittica economia locale.
La considerazione – quasi una passiva presa d’atto, per quei tanti siciliani assuefatti e soffocati dall’arcaica presenza della mafia – torna di attualità dopo una delle ultime iniziative annunciate dalla Regione Siciliana, d’intesa con il ministero dell’Interno.

Corso Umberto I, cuore urbano di Caltanissetta.
Il capoluogo nisseno è da molti anni agli ultimi posti delle classifiche nazionali sulla qualità della vita.
L'immagine - attribuita a 'Bromofoto Milano' - è tratta da 'Sicilia' della collana 'Attraverso l'Italia', edita dal TCI nel 1961
La notizia riguarda l’istituzione di una “zona franca della legalità” nel nisseno, con il coinvolgimento di decine di paesi, fra i più poveri dell’intera provincia e della Sicilia: da Marianopoli a Campofranco, da Delia a Mazzarino, da Montedoro a Niscemi, da San Cataldo a Sommatino, da Villalba a Sutera.

Una strada di Villalba nei decenni passati.
La provincia di Caltanissetta paga oggi lo scotto di vecchi ritardi nelle politiche di svilippo sociale ed economico, in un territorio dove la parassitaria presenza della mafia è stata funzionale all'ascesa politica di amministratori locali e parlamentari regionali e nazionali.
Anche questa immagine è tratta dall'opera di Pantaleone 'Il sasso in bocca'  
Alcuni di questi centri rurali della provincia – dove i giovani non sperano più neppure in un futuro di immigrazione – rimandano ancora alla descrizione che ne fece Leonardo Sciascia una cinquantina di anni fa:
“Come gli uomini, così i paesi appaiono chiusi, ostili. Vi si arriva percorrendo campagne aride, di stentate colture: il grano, le fave; verdeggianti nell’inverno, a scacchi gialli e bruni nelle altre stagioni. Il poeta spagnolo Josè Maria Valverde dice questo paesaggio uguale a quello della Castiglia, ma ‘come contratto da una mano nervosa’; ed è verissima impressione… Il paesaggio ripete il motivo dell’insicurezza, sempre e comunque presente nella Sicilia interna; l’antica insicurezza cui la proprietà, come ogni cosa, come la vita stessa, è soggetta. Dolente, ossessivo tema della storia, della società, dell’individuo, del paesaggio siciliano: il tema della inseguridad”.

Bambini che giocano in strada a Campofranco.
Ai nostri giorni, gran parte dei paesi del nisseno stanno facendo registrare un netto decremento demografico; i pochi giovani non sperano neppure nella prospettiva dell'emigrazione.
L'immagine è di Carlo Anfosso ed è tratta da un reportage pubblicato sulla rivista del TCI 'le Vie d'Italia' nel luglio del 1962
La “zona franca della legalità” – che dovrebbe comprendere anche centri urbani più sviluppati, come la stessa Caltanissetta e Gela – nasce “con l’obiettivo di attrarre investimenti sul territorio, incentivare la crescita e rilanciare il tessuto socio economico della provincia, con la garanzia di vantaggi e sgravi fiscali a favore di quelle imprese in grado di rispettare tutti i parametri di legge e di opporsi a richieste criminali”.
L’intenzione del progetto è insomma quella di creare “un’area protetta da ogni fenomeno malavitoso o delinquenziale che, con il concorso delle istituzioni, salvaguardi gli investimenti, dia certezza alle imprese, realizzi un costante controllo delle attività, fornisca corsie preferenziali per l’apertura di nuove imprese e sia in grado di fornire servizi attraverso ‘uno sportello unico’ in tempi certi”.

Il boss nisseno di Mussomeli Peppe Genco Russo, rappresentante di quella mafia che negli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo ebbe rapporti strettissimi con la politica regionale.
Il progetto di "zona franca della legalità" per la provincia di Caltanissetta annunciato in questi giorni dalla Regione Siciliana affronta solo in linea di principio il problema di un sano sviluppo dell'economia nel nisseno. 
Anche questa immagine è tratta dal saggio di Pantaleone pubblicato nel 1970 
In linea di principio, l’istituzione da parte di Regione e Stato della “zona franca della legalità” è un lodevole tentativo di assicurare ad una delle province più povere d’Europa uno strumento di sviluppo.
Tuttavia, sembra a ReportageSicilia che non si possa immaginare il bene economico e sociale di un territorio – specie in Sicilia, e soprattutto nel nisseno - senza un profondo cambiamento di governare la cosa pubblica e di intendere la politica, azzerando interessi privati, sudditanze instaurate a fini elettorali con i mafiosi e tutela di piccoli e grandi comitati d’affari.

Il duplice omicidio, nel novembre del 1977, di Giuseppe Di Fede e Carlo Napolitano nella zolfara di Trabia, nei pressi di Riesi.
Le vittime erano i guardiaspalle del capomafia nisseno Beppe Di Cristina, che di lì a poco sarebbe stato a sua volta ucciso a Palermo.
La provincia di Caltanissetta è dal secondo dopoguerra pesantemente condizionata dall'ingerenza economica della mafia, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, laddove il rapporto dei boss con la politica assume un ruolo primario.
Anche questa fotografia è tratta dal saggio 'Così ho tradito Cosa Nostra' edito da Musumeci Editore

Nessuna libertà d’impresa e nessuno sgravio fiscale potrà mai garantire lo sviluppo se non si sradicano in profondità le ragioni stesse dell’esistenza di mafia e delinquenza.
Si dirà che tutto ciò rischia di ripetere il già detto od il già letto.
L’insistere è però necessario, perché in questo minaccioso periodo di crisi globale - al termine del quale rimarranno in vita solo le economie più forti - la Sicilia non ha più tempo di aspettare le ragioni del suo progresso.