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giovedì 23 febbraio 2012

SELLERIO, FOTOGRAFO D’INTELLETTO

Cefalù, 1958
Per la prima volta un post di REPORTAGESICILIA viene pensato ed è scritto in memoria di un siciliano scomparso.
Nel caso di Enzo Sellerio – morto ieri all’età di 88 anni – l’omaggio nasce dal mio amore personale per le sue fotografie, più volte ammirate in pubblicazioni ed in mostre, e dalla considerazione che la morte di Sellerio – dopo quella recente di Vincenzo Consolo – rappresenti per la Sicilia la gravissima perdita di uno dei suoi ultimi uomini d’intelletto ( questa definizione la preferisco a quella di “intellettuale”, parola che mi pare contenere nella sua alterità un qualche tarlo di evanescenza ).

Partinico, 1954

Sfogliando oggi le pagine dei quotidiani nazionali, ho letto molti ricordi dell’editore e fotografo palermitano: quello che più mi ha colpito – su ‘la Repubblica’ – porta la firma di Adriano Sofri, uomo che ha conosciuto bene Enzo Sellerio e la Sicilia.

Gela, 1967
Bagheria, Alberto Sordi, 1962
“Gli uomini che conservano cuore di ragazzi – scrive Sofri - dovrebbero augurarsi un grande amico come Enzo Sellerio. Il quale era bello come Majakovskij, leale come il gran Meaulnes, geniale come un Groddeck trapiantato in Sicilia, con radici allungate in mondi freddi e appassionati. Per me Enzo era Palermo, e per Enzo Palermo era una dannazione, da riscattare ogni giorno ironicamente o furiosamente… Enzo proclamava che un vero fotografo è uno scrittore che si esprime per immagini: magnifico scrittore chi sapesse esprimersi per parole come Enzo con le fotografie… “.

Altopiano di Ragusa, 1967
In rete http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/02/22/foto/le_foto_di_sellerio_poeta_del_disincanto-30326094/1/ è possibile scoprire o riammirare le fotografie che Sellerio ha scattato in quarant’anni di attività, iniziata con la Rolleiflex e continuata poi con il 35 millimetri.

Partinico, 1954
Le immagini riproposte da REPORTAGESICILIA sono tratte dal volume ‘Enzo Sellerio, Fotografie 1950-1989, Federico Motta Editore, Milano 2000’.

Palermo, veduta con monte Pellegrino dal ristorante Spanò, 1954

martedì 21 febbraio 2012

STROMBOLI, L'ISOLA DI VERNE

Tramonto su Stromboli, in una fotografia non firmata pubblicata sul numero 76 della rivista 'Sicilia', edita da S.F. Flaccovio Palermo nel 1975.
L'isola delle Eolie fece da scenario alle pagine conclusive del romanzo 'Viaggio al centro della terra' di Jules Verne.
 Lo scrittore francese - appassionato navigatore - ebbe con tutta probabilità modo di conoscere personalmente l'arcipelago eoliano, traendo ispirazione per la sua scrittura
Sin dalla loro nascita vulcanica sul mare Tirreno, le isole Eolie sono state terre di viaggiatori ed esploratori.
Imbattendomi nell'immagine di Stromboli oggi postata su REPORTAGESICILIA - fotografia tratta dal numero 76 della rivista 'Sicilia', edita nel 1975 da S.F. Flaccovio Palermo - ho pensato di avere trovato una perfetta raffigurazione di quello storico carattere delle Eolie.
Inizialmente, avevo deciso di postare l'immagine di Stromboli titolando semplicemente 'Approdo a Stromboli', legando l'idea dell'approdo alla scoperta di qualcosa che ci è ignoto e che pure abbiamo desiderato conoscere, affrontando le incognite del mare.
Poi mi sono ricordato che proprio Stromboli è l'antica terra in cui Jules Verne http://www.jules-verne.net/ - uno dei più straordinari visionari delle scoperte scientifiche - ambientò la fine del suo 'Viaggio al centro della terra'.
"Sopra il nostro capo - si legge nel capitolo 44 - all'incirca a cinquecento piedi, si ergeva il cratere di un vulcano, da cui usciva ogni quarto d'ora uno scoppio rumoroso, un'alta colonna di fiamme mista a ceneri, lave e pietre pomici. Sentivo il brontolio della montagna che respirava alla maniera delle balene, gettando ogni tanto fuoco ed aria da enormi sfiatatoi. Sotto di noi, gli strati di materie eruttive si stendevano per un ripido declivio ad una profondità di sette o ottocento piedi".

Una fotografia del 'Saint Michel III', uno degli yacht con i quali Jules Verne esplorò il mar Mediterraneo.
Questa immagine ed il ritratto dello scrittore francese sono tratti da http://www.jules-verne.net/
Verne scrisse 'Viaggio al centro della terra' nel 1863; da appassionato navigatore sulle rotte del Mediterraneo,  è probabile che qualche anno prima avesse anche lui tributato alle isole Eolie ed a Stromboli un viaggio di conoscenza ed esplorazione, traendone spunto per le pagine del romanzo.
Ecco perchè questo post dedicato a Stromboli - e quella foto di ormai prossimo approdo all'isola - diventa anche un omaggio a Jules Verne; con quell'immaginazione di cui lo scrittore fu cultore, possiamo pensare che al timone di quella imbarcazione vi sia proprio lui, stupito ed affascianto dal "brontolio della montagna che respirava alla maniera delle balene..."

Un ritratto fotografico di Jules Verne.
Lo scrittore scrisse 'Viaggio al centro della terra' nel 1863; è probabile che la sua descrizione di Stromboli sia stata il frutto di una precedente visita all'isola vulcanica

domenica 19 febbraio 2012

AMARE ARANCE DI SICILIA

Raccoglitori di arance a Paternò, nella piana di Catania in uno scatto che risale ai primi anni Sessanta dello scorso secolo. L'immagine - attribuita a Pedone - è tratta insieme alle altre tre riproposte da REPORTAGESICILIA dal secondo volume 'Sicilia' , edito nel 1962 da G. C. Sansoni. 
Con la firma di un recente accordo fra Unione Europea e Marocco l'industria agrumicola siciliana conferma la sua debolezza nei confronti delle dinamiche dei mercati internazionali del settore 
Negli anni Ottanta dello scorso secolo furono distrutti a quintali – otto milioni soltanto nel 1984 – a causa dell’eccezionale produzione e delle difficoltà di commercializzazione, complice l’assenza – perdurante ai nostri giorni - di industrie di trasformazione del prodotto: limoni, arance e mandarini siciliani furono così avviati al macero, mentre nel resto d’Italia e nei Paesi europei si consumavano agrumi provenienti da Israele, Marocco, Cipro, Grecia e Turchia.
Ai nostri giorni, le contraddizioni che affliggono l’agricoltura degli agrumi nell’isola emergono nuovamente: un accordo di liberalizzazione del mercato fra Unione Europea e Marocco consentirà infatti dal prossimo mese di maggio al Paese nordafricano di aumentare le proprie quote di esportazione di arance verso il vecchio continente.
L’accordo – ora contestato da tutte le sigle dei produttori agricoli siciliani – ridurrà fra l’altro del 55 per cento i dazi dogali, contro il 33 per cento attuale, e farà sbarcare nell’isola le arance marocchine ad un prezzo pari a 17-18 centesimi al chilo: una concorrenza insostenibile per gli agricoltori locali, già alle prese con i limiti strutturali della filiera siciliana.

Alberi di arance nella piana di Catania, che tra la fine del secolo XIX ed i primi tre decenni del secolo successivo presero il posto delle viti: ancora oggi la produzione dell'area è la più importante fra quelle presenti in Sicilia
Adesso l’iniziativa dell’Unione Europa sta mobilitando produttori e padroncini, sull’onda delle recenti rivendicazioni portate avanti anche dal movimento dei ‘Forconi’: sono già in programma proteste di piazza, sia a Palermo che a Roma, in quella che si preannuncia come l’ennesimo travagliato capitolo nella storia dell’economia agrumicola della Sicilia.
Anche queste vicende – legate pure ad una delle colture isolane più conosciute ed apprezzate al mondo – fanno sollevare recriminazioni sulla meccanica incapacità della Sicilia di camminare sulle gambe delle proprie potenzialità: in tempi di profonda crisi dell’economia globale – e questo ci sembra un dato poco compreso dai siciliani - il peso di vecchie tare rischia di affossare definitivamente il futuro della regione.
Con queste considerazioni, REPORTAGESICILIA ripropone quattro vecchie immagini – tratte dal volume ‘Sicilia’ volume II della collana ‘tuttitalia’ edita da G.C Sansoni nel 1962 - che ritraggono l’attività di raccolta e produzione delle arance nella piana di Catania, coltura che tra la fine del secolo XIX e i primi tre decenni del successivo soppiantò nella zona quella della vite: da Paternò, fino al Simeto; da Palagonia, lungo il fiume omonimo, sino alla sua confluenza nel Monaci ed oltre, da una parte, ed alla regione Alcovia dall’altra; da Scordia, in oasi sparse, fino al casale Castellana; ed infine da Lentini in tutte le direzioni, lungo i corsi d’acqua del Trigona, del Margi, e altri minori, fino alla masseria Bonvicino.

Una vasca di irrigazione per agrumeti nella fascia settentrionale della piana di Catania: un retaggio di vecchi sistemi di produzione agricola ancor oggi diffusi in buona parte delle campagne isolane
Nel corsivo che accompagnava le fotografie ora postate da REPORTAGE SICILIA, Antonio Aniante scriveva quella che oggi può considerarsi come una malinconica celebrazione della coltura agrumicola nella piana di Catania.
“A Lentini, a Palagonia, a Ramacca, a Scordia i giovani vanno taciturni verso il loro geloso e segreto ideale; anzitutto i lentinesi: notte e giorno, son presi nella lotta, nel corpo a corpo contro Reggio di Calabria, per il primato del limone, del cedro, dell’arancio, del bergamotto, del pattuallo ( l’arancio profumato e grosso dello ‘portogallo’ ); Lentini, ha una sua università clandestina degli altissimi studi per la superproduzione degli agrumi e per il loro primato in quantità e qualità, per il loro successo internazionale di esportazione. Ramacca compete e appoggia la sorella Lentini, l’intraprendente, la temeraria, la futuristica Lentini ( e sì, Paternò sta a Lentini, nell’industria agrumaria, come Renoir sta a Picasso ), perfino i fazzolettini di carta velina dipinta, che servono a involtare gli agrumi di Lentini, sono di un’avanguardia spettacolare…”.

Un'immagine di raccoglitore di arance nella piana di Catania: una figura che racconta il passato di una coltura agricola siciliana incapace di sopravivvere ed imporsi nelle dinamiche internazionali del mercato





sabato 18 febbraio 2012

LA FIERA DEL FALLIMENTO

Una veduta aerea della Fiera del Mediterraneo pubblicata dalla rivista 'Viaggi in Italia' nell'aprile del 1948.
Nata due anni prima, la "Campionaria internazionale" ha rappresentato l'ennesimo fallimento della politica siciliana nel secondo dopoguerra, mancando ogni aspettativa di reale sviluppo.
L'agonia dell'Ente Fiera è terminata nel settembre dello scorso anno, con la liquidazione da parte della Regione Siciliana: le politiche dissennate e clientelari degli ultimi decenni hanno prodotto un buco di bilancio stimato in 18 milioni di euro
Nel secondo dopoguerra, l’evento nacque con la promessa di diventare uno di quegli appuntamenti che avrebbero potuto rappresentare per la Sicilia una reale occasione di sviluppo economico, fregiandosi della qualifica di “campionaria internazionale”.
La Fiera del Mediterraneo di Palermo, invece, ha rappresentato l’ennesimo imperdonabile fallimento di una politica regionale incapace di governare la cosa pubblica per il bene dei siciliani; l’ennesima occasione dunque di svilire quel “ruolo di centralità della Sicilia nel Mediterraneo” oggetto di tanta vuota e malfidata retorica di una pletora di politicanti locali.
La I edizione della Fiera si svolse nel 1946, in una città ancora ferita dalle bombe alleate, grazie alla creazione di un quartiere espositivo posto nelle campagne alle pendici urbane orientali del monte Pellegrino.
In una nota datata 1948, il direttore generale dell’Ente Fiera, Gianni Morici, scriveva che “guardando al futuro, abbiamo saputo porre la nostra organizzazione su basi sicure, adattando la funzione fieristica sul piano della organizzazione economica e mercantile del mondo moderno”.


Altre due fotografie che ritraggono le strutture della Fiera del Mediterraneo nei primissimi anni della sua istituzione.
 L'ultima esposizione risale al 2009, dopo due decenni di lento declino organizzativo e gestionale
Mai aspettativa e proposito furono tanto disattesi, a guardare il triste destino dell’area fieristica palermitana; nel settembre del 2011 infatti – dopo decenni di lento declino organizzativo e gestionale – la Regione Siciliana ha liquidato L’Ente Fiera, già al collasso per un debito stimato in 18 milioni di euro.
L’agonia della Fiera del Mediterraneo è stata penosa e ricca di contraddizioni, come spesso accade in vicende di fallimenti economico-imprenditoriali a Palermo e nell’isola, a cominciare dall’avvicendarsi di una decina di presidenti e commissari straordinari ( uno dei quali famoso per il godimento di eccezionali benefit, a cominciare da una Jaguar di rappresentanza ) negli ultimi anni di agonia gestionale.
Il fallimento è stato totale e mortificante, visto che ai portoni dell’Ente si sono presentati in questi ultimi anni anche gli ufficiali giudiziari per il pignoramento di arredi, suppellettili e degli stessi stipendi dei dipendenti.
Oggi, l'area e gli immobili presenti all'interno degli 83.000 mq della struttura sono di proprietà del Comune di Palermo, che attende forse le offerte di acquisto da parte di privati.
Qualche anno fa - non è chiaro se la notizia fosse leggenda o voce concreta - si parlò dell'interesse di un gruppo londinese finanziato da imprenditori sauditi; in tempi recenti, si sarebbe fatto avanti un gruppo italiano, ma senza che l'affare andasse a buon fine.  
Questo breve riepilogo della triste storia della Fiera del Mediterraneo di Palermo è stato scritto dopo che REPORTAGESICILIA ha reperito alcune vecchie immagini dell’area fieristica.
Le prime tre - in bianco e nero - sono tratte dalla rivista bimestrale ‘Viaggi in Italia’, edita nell’aprile del 1948 dal CIT e dalle Ferrovie dello Stato; la veduta a colori è invece tratta da una locandina che pubblicizza l’edizione della ‘Campionaria Internazionale’ che si svolse dal 29 maggio al 13 giugno del 1976.

In chiusura di questo post, REPORTAGESICILIA ripropone una fotografia che ritrae l'area fieristica palermitana in una inserzione pubblicitaria del 1976. Il decennio Settanta ha fatto segnare l'inizio del declino delle attività espositive, portando così l'evento commerciale su uno dei tanti binari morti in cui langue oggi l'economia siciliana



sabato 11 febbraio 2012

ARMONIA DI UN PAESAGGIO COSTIERO

La luce, netta e piena di calore, sembra essere quella di un primo pomeriggio. Il bianco e nero dell’immagine accentua i contrasti fra i vari piani dell’inquadratura: il blu del mare, l’azzurro cristallino del cielo ed il bianco delle scogliere, appena più sporco laddove l’obiettivo del fotografo ha riprodotto la bassa vegetazione che sale verso la collina.
Lo scatto riproposto da REPORTAGESICILIA fissa la zona di mare palermitana fra Sferracavallo ed il paese di Isola delle Femmine, con l’immancabile omonimo isolotto sormontato da una antica torre di avvistamento.
Certo, questa immagine è una delle più tipiche rappresentazioni della costa tirrenica della Sicilia; eppure, la sua datazione – risalente forse ai primi anni Sessanta dello scorso secolo – ci restituisce il volto suggestivo di un paesaggio molto diverso dall’attuale, privo di soverchiante edilizia e con l’elemento umano rappresentato da un carretto in transito lungo la strada statale 113.
La fotografia – pubblicata sulla rivista ‘Libro dei giorni italiani – Le isole felici’ edita nel 1966 dall’Ente Nazionale Italiano Turismo – ci restituisce quel senso di sospensione temporale tipico di quei luoghi che l’azione dell’uomo non ha ancora completamente alterato; e dove la presenza stessa dell’uomo – in definitiva – completa l’armonia del paesaggio.
Col suo lento incedere da Sferracavallo verso Isola delle Femmine, il passaggio dei due uomini sul carretto ci fa quasi avvertire il tepore del sole e gli odori di quella ormai lontana ed irripetibile giornata d’estate.

venerdì 10 febbraio 2012

DUCATO, FOTO DI BOTTEGA

Onofrio Ducato all'opera nella sua bottega di via del Cavaliere, a Bagheria. L'artigiano fu uno degli esponenti più attivi della famiglia di pittori di carretti, il cui capostipite - a partire dal 1893 - fu il padre, Michele Ducato.
La morte, il 4 febbraio, dell'ultimo dei fratelli - Peppino - ha spinto REPORTAGESICILIA a riproporre alcune fotografie di Onofrio Ducato realizzate da Paolo Di Salvo e pubblicate nel libro 'Due ruote',
edito da Eugenio Maria Falcone nel 2007

Uno dei libri più belli in mio possesso di cose e di persone della Sicilia è ‘Due ruote’, un saggio pubblicato da Eugenio Maria Falcone http://www.falconeriuniti.it/  nell’aprile del 2007. E’ un lavoro che racconta l’arte del carretto isolano a Bagheria, grazie alle splendide fotografie in bianco e nero realizzate una trentina di anni fa da Paolo Di Salvo.

Onofrio Ducato all'opera su una carta da ricalco dei disegni sulla sponda di un carretto,
in questo caso raffiguranti una scena cavalleresca.
 I soggetti erano tratti dai cartelloni dei pupari, dagli acquarelli ottocenteschi raffiguranti paladini o dalle illustrazioni dei romanzi cavallereschi pubblicati a dispense su riviste siciliane del tempo 

Fotografo ‘dilettante’, Di Salvo – già accreditato del ruolo di ‘fotografo di scena’ nel documentario ‘Il carretto’, realizzato da un giovane Peppuccio Tornatore - scelse di ritrarre gli anziani maestri artigiani bagheresi nelle loro botteghe: il maniscalco Giuseppe Sottile, il carradore Giovanni Accomando, l’intagliatore Peppino Gagliardo ed il pittore Onofrio Ducato.

L'obiettivo di Di Salvo, scriveva nella prefazione del saggio 'Due ruote',
 Dora Favatella Lo Cascio, "assume il ruolo di difensore della qualità e della dignità del mestiere..."  

Quest’ultimo ha fatto parte di una famiglia di pittori di carretti attiva a Bagheria dal 1893, grazie all’arte di Michele Ducato, poi tramandata ai figli Giovanni, Minico, Onofrio e Peppino; la loro fu un’arte vera, capace pure di formare Renato Guttuso, che secondo una tradizione orale mai comprovata esercitò la sua prima pittura sui ‘masciddari’ e sui ‘tavulazzi’ dei carretti decorati dai Ducato.

Spiega Antonino Buttitta in 'Due ruote', che il lavoro di pitturazione dei Ducato prevedeva una tecnica "apparentemente elementare. Si cominciava col dipingere,seguendo la traccia del ricalco, le parti dei personaggi e della scena in rosso, poi quelle in giallo, e così via di seguito, fino a quando, apposti i colori di tutta la figurazione, venivano definiti in nero i contorni dei personaggi e del paesaggio.
Alla fine, una volta secche le tinte, la raffigurazione veniva resa più brillante con una mano di vernice incolore..." 

Proprio Peppino – l’ultimo dei fratelli ancora in vita - è morto qualche giorno fa http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/02/05/news/addio_a_ducato_l_ultimo_pittore_di_carretti_siciliani-29367433/. La sua scomparsa rappresenta la perdita di un altro pezzo di storia dell’arte popolare siciliana, basata su un estro artigianale e su conoscenze tecniche oggi sempre più destinate ad essere cancellate dalla memoria culturale dell’isola.

Lo scatto di Di Salvo all'interno della bottega di Onofrio Ducato è il frutto di una straordinaria inquadratura che - scrive ancora Dora Favatella Lo Cascio - "ci viene restituita da sfumature chiaroscurali
che suggeriscono la profondità dell'ambiente" 

Leggendo la notizia della morte dell’ultimo dei fratelli Ducato, ho pensato di postare su REPORTAGESICILIA alcune di quelle fotografie scattate da Paolo Di Salvo nella bottega bagherese di Onofrio, in via del Cavaliere: attraverso il bianco e nero di queste immagini – scriveva allora Dora Favatella Lo Cascio nella prefazione di ‘Due ruote’ – “l’obiettivo assume il ruolo di difensore della qualità e della dignità del mestiere… mentre la luce è intensamente raccolta sulla magia del lavoro che si viene sostanziando. Le immagini, per lungo tempo conservate, di Paolo Di Salvo ci restituiscono un’altra tessera di quel mosaico che è la nostra vita” 

"E' certo che il carretto decorato, dipinto e scolpito dai fratelli Ducato era un mezzo più lento, ma quanto più fantasioso e ricco e allegro. Vi era poi la parziale leggenda - scrive Natale Tedesco - che alla scuola del grande pittore di carretti Michele Ducato avesse fatto le sue prime prove Renato Guttuso, un artista ed un compagno a cui ispirarsi in quegli anni..."

    


lunedì 6 febbraio 2012

QUELLA JAGUAR ROSSA ALLA TARGA


La Jaguar E Type del conte Innocente "Dodo" Baggio alla Targa Florio del 1963.
La storia di quella partecipazione alla gara madonita rappresenta solo uno degli infiniti racconti legati alla manifestazione ed alla Sicilia del periodo: la Jaguar infatti venne rubata nel porto di Napoli prima dell'imbarco per Palermo e venne fatta ritrovare al suo proprietario grazie all'immancabile mediazione di un 'don' isolano. 
Dopo avere corso sul circuito della Targa insieme al pilota palermitano Clemente Ravetto, Innocente "Dodo" Baggio si concesse un lungo tour turistico in Sicilia, visitando anche l'isola di Vulcano.
Grazie alla collaborazione dell'Associazione Culturale "Amici della Targa Florio", REPORTAGESICILIA pubblica un ricordo di quell'esperienza a firma dello stesso gentleman driver  

Qualcuno dovrà pure cercare e raccogliere le migliaia di storie mai scritte che raccontano cosa sia stata la Targa Florio.
Ancor oggi, basta parlare con gli anziani dei paesi delle Madonie per ricostruire aneddoti ed episodi della gara automobilistica che più di ogni altra al mondo ha intrecciato il contenuto sportivo a quello della cultura degli abitanti e dei luoghi dove l’evento ha avuto svolgimento.
Allo stesso modo, in molti Paesi al mondo – dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dal Messico all’Argentina – è frequente raccogliere testimonianze di conoscenza e di affetto verso una manifestazione il cui nome continua ad essere uno straordinario sinonimo di Sicilia; straordinarietà – occorre sottolineare – che non dovrebbe ricondurre solo alla memoria del passato.
Solo i siciliani – probabilmente - potevano decidere di far cadere nell’oblio il patrimonio della Targa, nell’incapacità di valorizzare con iniziative concrete tutto ciò che il nome della “corsa più antica del mondo” potrebbe ancor oggi rappresentare per l’isola.
In questo post – e grazie al prezioso lavoro dell’Associazione Culturale Amici della Targa Florio http://www.amicidellatargaflorio.com/ - REPORTAGESICILIA offre una di quelle tante sconosciute testimonianze su ciò che ha rappresentato lontano dalla Sicilia l’evento delle Madonie.
La storia viene raccontata da una mail proveniente dall’Inghilterra; a scriverla è stato il conte Innocente ‘Dodo’ Baggio, un gentleman driver che negli anni Cinquanta e Sessanta gareggiò sulle strade di Le Mans, delle Mille Miglia e, appunto, della Targa Florio.
Il racconto ricostruisce le circostanze che accompagnarono la sua partecipazione all’edizione del 1963, a bordo di una rossa Jaguar E-Type rubatagli nel porto di Napoli poco prima dell’imbarco per Palermo e fattagli subito ritrovare grazie all’interessamento di un “amico degli amici”.
I ricordi del conte Baggio chiariscono cosa sia stata la Targa Florio per molti piloti stranieri che ebbero la fortuna di parteciparvi: l’amicizia con i driver locali – nel caso in questione, Clemente Ravetto – ma anche un totale ed indimenticabile tuffo nella realtà siciliana, con le sue deformazioni culturali – la presenza della mafia, appunto – e le sue straordinarie attrattive ambientali, rappresentate in questa storia da un viaggio a Vulcano.
Una visita all’isola del gruppo delle Eolie rappresentava allora per tanti facoltosi viaggiatori un tributo al successo internazionale del film ‘Vulcano’, girato nel 1949 dal regista di origini tedesche William Dieterle e con Anna Magnani in veste di attrice protagonista: un rivolo di storia siciliana – anche questa – che sgorga ancor oggi appagante dalla memoria di un anziano e signorile aristocratico del volante.
Tutto questo, ancora una volta – ed anche questo post – grazie a quella infinita ricchezza di doni lasciati dalla Targa Florio.
Di seguito, pubblichiamo il testo della mail in inglese scritto dal conte Innocente "Dodo" Baggio e la sua traduzione in italiano. 

Foto di gruppo ai box di Cerda per la Jaguar E Type, che si classificherà poi 21a  e prima nella classe GT oltre 3.000 cc, con otto giri compiuti.
La vettura del conte Innocente "Dodo" Baggio - il primo a destra - corse in extremis e la scelta del secondo pilota cadde sul palermitano Clemente Ravetto, in questa fotografia ritratto al fianco dell'aristocratico driver 
"Early February 1963 my wife Gloria and I, along with our Son Tommy who was almost three years old, set out from London for San Remo , where we intended to spend a long visit with my family and then to travel on to Modena where we had many Motor racing friends. Consequently our trip to Sicily, for me to take part in the Targa Florio, started from Modena and it must have been early April when we reached Naples, ready to take the ferry to Palermo. In Naples we parked my Jaguar E type on the embarkation pier in plenty of time to find a nice restaurant near the docks where we enjoyed a wonderful lunch. We then returned to the pier in time to collect the car and embark on the ferry BUT the car was missing!
We reported this fact to the Port Police who said it was no doubt a case of the car being stolen by the Cosa Nostra in Naples ! We then were forced to board the ferry to Palermo by foot, no car or luggage, but luckily with all our documents for both the car and all other personal documents which I always carried with me in a separate shoulder bag.
On arrival in Palermo and met by my brother Nino, who was completely shocked by the fact of the missing Jaguar – along with our entire luggage etc. Very practically he suggested a stop at Fiat before going to his home, and there he consulted with a Don G., a Fiat salesman, renowned to have Mafia connections. Don G. instantly grasped the situation and made a few phone calls to the main land and, with a big grin, returned and told us we should go to the dock the next day to collect the Jaguar which would be arriving on the ferry. Although difficult to believe it, my brother and I went to the dock and fair enough the Jaguar appeared as we were told it would and contained everything, including our clothing and even a full tank of petrol, when it had been only half full when we left it on the docks!
As a result we offered a big dinner to our friend Don G. at a restaurant on the beach at Mondello, which was then to become our favourite eating place.
Unfortunately at almost the same time I received a cable from South Africa to say that Lister Jaguar I had been promise to drive in the Targa Florio, had been damaged beyond repair and was unable to arrive in Palermo – along with my promised co –driver! I therefore notified the Palermo Automobile Club that I would not be able to drive and they then started and exaggerated fuss about me driving in my own car if necessary – having said that this was not possible because I didn’t have a co-driver, someone suggested I should talk to Clement Ravetto who was the son of a Fiat concessionaire.
On his request Clementino selected to try my Jaguar at night up and down Mount Pellegrino as against the Madonie circuit . It was consequently easy for me to establish that Clementino was enthusiastic going up hill but seemed to be almost too conservative racing downhill. Anyway we did what we had to do and at the Targa Florio Ravetto just drove one lap claiming that my brakes were not adequate. As I told you before after the race Gloria, Tommy and I went to Vulcano for a few weeks or so holiday. While there Tommy discovered a fish called Aguglie which were being delivered onto the beach within yards of our “Paglai” accommodation, cooked over charcoal in front of us. Wonderful – It could be said that whilst on Vulcano, that is the only real food Tommy ate! It is here that Tommy had his third birthday too on May 18th!
On our return to Palermo I collected the Jaguar which had acquired new tyres and a complete service and peacefully we went back to the mainland and then drove the way we came with no particularly interesting happenings. Upon arrival in London I discovered that a good bit of money could be made by selling the E type, which Jaguar offered, and claiming that the Dunlop Nylon Tyres I used during the race “were exceptionally good tyres” (which in my opinion they were not!) Never the less they gave us entry into the “Dunlop Book of Records”, and unfortunately I lost the certificate. I sold the Jaguar and consequently bought myself a 2.5 Lancia Carrera"

Una veduta dell'isola di Vulcano tratta da 'Le Vie d'Italia' del TCI nell'aprile del 1964. Nei suoi ricordi della partecipazione alla Targa Florio del 1963, Innocente "Dodo" Baggio ricorda di un successivo soggiorno nell'isola delle Eolie, la cui notorietà all'estero era stata anni prima amplificata dall'omonimo film interpretato da Anna Magnani


Un'immagine dei tornanti della strada di monte Pellegrino pubblicata da 'Le Vie d'Italia' del TCI nel marzo del 1954.
La 'carrozzabile' che collega Palermo alla sommità del Pellegrino, oltre ad ospitare in passato una famosa cronoscalata, ha rappresentato per piloti e meccanici della Targa Florio un prezioso tracciato di prova; fu così anche per la Jaguar E Type e per il suo copilota, Clemente Ravetto. Per non urtare troppo la suscettibilità delle forze dell'ordine era però buona regola affrontare  i tornanti durante la notte...   




In chiusura di questo post, la Jaguar E Type in una fotografia pubblicata da 'Targa Florio - The post war years 1948-1973 - Broklands Books Ltd.'.  Nella didascalia si legge che "la vettura avrebbe potuto rendere meglio se fosse stata condotta con più brio": un giudizio severo, considerato che la Jaguar utilizzata da Baggio e Ravetto aveva caratteristiche tecniche poco adatte alla tortuosità delle strade madonite

"All’inizio di febbraio del 1963 mia moglie Gloria ed io, insieme a nostro figlio Tommy che aveva quasi 3 anni, ci mettemmo in viaggio da Londra per San Remo, dove intendevamo stare per una lunga vista ai miei parenti, per poi andare a Modena dove avevamo molti amici conosciuti negli ambienti delle corse.
Da Modena, quindi, continuammo il viaggio verso la Sicilia, dove avrei preso parte alla Targa Florio; ed era inizio aprile quando raggiungemmo Napoli per prendere il traghetto per Palermo. A Napoli parcheggiammo la mia Jaguar E Type sul molo d’imbarco con ancora tanto tempo a disposizione per trovare un gradevole ristorante nel porto, dove pranzammo magnificamente. Quindi ritornammo verso il molo in tempo per riprendere l’auto ed imbarcarci nel traghetto, ma la Jaguar era sparita!
Denunciammo il fatto alla polizia portuale che ci disse che l’auto ci era stata sicuramente rubata da qualcuno di Cosa Nostra di Napoli ( camorra )! Fummo quindi costretti ad imbarcarci per Palermo a piedi, senza più auto e bagagli, ma fortunatamente con i documenti personali e della Jaguar, che abitualmente portavo sempre con me in una borsa separata. Arrivammo al porto di Palermo dove ci aspettava mio fratello Nino che rimase totalmente scioccato dal furto dell’auto e di tutti i bagagli, e che, molto pragmaticamente, suggerì di fermarci ad una rivendita Fiat prima di andare a casa sua; qui parlò con don G., un venditore d’auto noto per avere dei contatti con la mafia. Don G. prese subito in mano la situazione: fece una serie di telefonate in continente e ritornò sogghignando dicendoci di andare al porto il giorno dopo a riprendere la Jaguar che sarebbe arrivata col traghetto. Sebbene fosse difficile da credere, io e mio fratello andammo al porto e la Jaguar apparve esattamente come ci era stato detto, con tutto il suo contenuto, inclusi i bagagli e perfino un’intera tanica di benzina, che era mezzo vuota quando l’avevamo lasciata al parcheggio! Finì che offrimmo al nostro amico don G. una bellissima cena nel ristorante sulla spiaggia a Mondello ( le terrazze dell'Antico Stabilimento Balneare ), che divenne il nostro preferito. Sfortunatamente, quasi allo stesso tempo, ricevetti un cablogramma dal Sudafrica che mi comunicava che la Lister Jaguar che avevo promesso di guidare in occasione della Targa Florio era danneggiata da un guasto irreparabile e non sarebbe arrivata a Palermo, e neanche il co-pilota che mi era stato promesso! Quindi comunicai all’Automobile Club di Palermo che non sarei stato in grado di gareggiare, ma loro pressarono molto affinché io corressi con la mia auto, se fosse stato necessario; avendogli fatto notare che questo non era possibile perché comunque ero senza co-pilota, qualcuno mi suggerì di parlare con Clemente Ravetto, che era il figlio del concessionario Fiat.
Su sua richiesta, Clementino scelse di provare la mia Jaguar durante la notte su e giù per monte Pallegrino, come fosse il circuito delle Madonie. Di conseguenza, fu per me abbastanza semplice capire che Clementino era entusiasta di correre in salita mentre invece era piuttosto prudente nell’affrontare i tratti in discesa. Comunque, facemmo ciò che c’era da fare e alla Targa Florio Ravetto guidò solo per un giro, sostenendo che i miei freni non erano adeguati.
Come già ti raccontai Gloria, Tommy ed io dopo la gara andammo a Vulcano per alcune settimane di vacanza. Mentre eravamo lì Tommy scoprì che c’era dei pesci che si chiamavano aguglie; venivano sbarcati in spiaggia, serviti fin dentro i cortili del nostro bungalow del complesso “I pagghiara” e cotti alla brace di fronte a noi. Buonissimo, si può dire che fu l’unico cibo che mio figlio ha mangiato finché siamo stati a Vulcano! E’ stato proprio sull’isola che Tommy ha festeggiato il suo terzo compleanno, il 18 di maggio.
Al nostro ritorno a Palermo andai a riprendere la Jaguar, a cui era stata fatta una completa messa a punto e montati dei nuovi pneumatici; tornammo tranquillamente in continente, rientrando per la stessa strada che avevamo fatto all’andata, senza che accadesse nient’altro di particolare. All’arrivo a Londra scoprì che la vendita della E Type aveva fruttato un bella somma di denaro, offerta dalla Jaguar, sostenendo che gli pneumatici Dunlop Nylon che avevo usato durante la gara fossero “delle gomme eccezionalmente buone” (che per me, invece, non lo erano affatto!).
Fummo addirittura citati nel “Dunlop Book of Records”, anche se sfortunatamente ho perso questo documento. In seguito ho venduto la Jaguar per comprarmi una Lancia Carrera. 2.5."