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lunedì 30 gennaio 2012

LINOSA, ALBA ALLA MANNARAZZA

Nella tenue luce dell’alba, il traghetto partito la sera prima da Porto Empedocle si allontana da cala Mannarazza, il vecchio porto di Linosa. In mare, una barca di pescatori sta facendo ritorno a terra, dopo avere trasbordato dalla nave i pochi passeggeri diretti nella piccola isola delle Pelagie.
A terra, fra le barche dei pescatori tirate in secca, si scorgono due asini in attesa di ricevere il fardello di merci dei nuovi arrivati.
La fotografia che documenta una giornata di vita isolana nella solitudine marina del canale di Sicilia ci rimanda alla metà degli anni Sessanta: REPORTAGESICILIA la ripropone 46 anni dopo la pubblicazione sulla rivista ‘Libro dei giorni italiani – Le isole felici’, edita dall’Ente Nazionale Turismo Italiano nel 1966.
Nella presentazione di quell’opera – affidata ad uno scritto del siciliano Salvatore Quasimodo, datato giugno 1965 – si legge che “in ogni isola si sposta il primo pensiero della mente come ricerca di una nuova natura. Intorno a noi c’è acqua. Una rottura desiderata con la terra, un incontro con ciò che è al di là del nostro giorno”.

domenica 29 gennaio 2012

I LUOGHI IGNOTI DI CAPPELLANI


Uno scatto di Dante Cappellani nell'interno della Sicilia, eseguito probabilmente negli anni che hanno preceduto il secondo conflitto mondiale.
Il luogo della fotografia è ignoto, anche se la torre di aspetto medievale ritratta in cima alla collinetta fonisce un indizio utile all'individuazione del sito, forse da ricercare tra le province di Palermo ed Agrigento 


Nell’epoca in cui ‘Google earth’ e GPS identificano e localizzano con precisione il più anonimo vicolo di una qualsiasi città, è difficile non dare un nome ad un manufatto la cui presenza fisica si impone nel territorio in cui quell’oggetto trova la sua ubicazione.
Ciò vale soprattutto per quei luoghi in cui il tempo o l’azione della natura o dell’uomo non abbiano stravolto i luoghi stessi; in questo caso, il riconoscimento può diventare un gioco affidato all’esercizio della memoria, o del confronto con disegni o fotografie del passato: alla rapidità della risposta tecnologica si sostituisce allora il piacere della ricerca documentaria o dell’aiuto del ricordo altrui.

Un'affollata fiera del bestiame in una località ignota dei Nebrodi, nel messinese.
 Dante Cappellani ed il figlio Giuseppe hanno lavorato in Sicilia tra il 1920 ed il 2002, documentando con i loro scatti i cambiamenti del paesaggio e dell'economia dell'isola.
Le fotografie di luoghi non identificati proposte in questo post da REPORTAGESICILIA sono tutte di Cappellani senior: le immagini sono tratte dal volume 'Scritture di Paesaggio', edito da Alloro Editrice Palermo nell'ambito di una mostra che ebbe luogo nel marzo del 1988 nella chiesa palermitana di Santa Maria dello Spasimo
Con questa premessa – e per desiderio di identificare vecchi luoghi della Sicilia a me ignoti – REPORTAGESICILIA posta alcune fotografie poco note e senza l’identificazione dei soggetti realizzate da Dante Cappellani, nome di primissimo piano nella storia della fotografia isolana.

Il carretto di una famiglia di contadini vestiti a festa percorre una strada di terra che costeggia alcuni casolari in pietra, in una località ignota dell'isola.
 La presenza di un ombrello in una giornata soleggiata fa intendere che Dante Cappellani eseguì la fotografia in estate
Nato nel 1890 e morto nel 1969, cultore del teatro e dell’alpinismo, Cappellani aprì nel 1925 il suo primo studio fotografico a Palermo, in via Emerico Amari. In seguito – dopo avere ottenuto riconoscimenti in mostre e rassegne nazionali – trasferì la sua attività in via Mariano Stabile, specializzandosi nella riproduzione di monumenti e paesaggi.

Anche questo scatto di Dante Cappellani non riporta nè la data nè il luogo di esecuzione.
Il soggetto ritratto su una spiaggia però - uno 'stazzuni' per la lavorazione di tegole, mattoni e laterizi - rimanda  sicuramente ad una località della costa tirrenica messinese, forse non lontana da Patti: un'identificazione parziale che troverebbe conferma anche dalla tipologia delle colline e dalla presenza di una stazione ferroviaria, probabilmente lungo la tratta Palermo-Messina
Collaboratore dell’Istituto Nazionale Luce – incarico ritiratogli perché privo della tessera di adesione al partito fascista – Dante Cappellani perse il suo studio a causa dei bombardamenti alleati; dopo un breve trasferimento a Firenze, tornò a Palermo, aprendo un nuovo laboratorio in via Valerio Villareale.

Quale centro messinese dei Nebrodi accolse questa gara ciclistica?
La passione per le attività sportive di Cappellani senior - passione in primo luogo dedicata alle attività alpinistiche - trapela in quest'immagine forse antecedente il 1940 che racconta i tempi pioneristici del ciclismo in Sicilia 
La sua opera è stata continuata dal figlio Giuseppe, scomparso nell’aprile del 2010, dopo un’intensa collaborazione con l’editore Enzo Sellerio, con lo scrittore Gesualdo Bufalino e con vari studiosi d’arte siciliana ( Donald Garstang, Antonio Pasqualino, Antonino Ragona ). Le fotografie eseguite da Dante e Giuseppe Cappellani e riproposte da REPORTAGESICILIA fanno oggi parte di un archivio di famiglia di oltre 200.000 immagini, scattate in Sicilia tra il 1920 ed il 2002. Nel dettaglio, furono esposte nel marzo del 1998 a Palermo all’interno della chiesa di Santa Maria dello Spasimo nell’ambito di una mostra intitolata ‘Scritture di paesaggio’, curata da Girolamo Cusimano per conto della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo. Successivamente a quell’evento, le immagini furono inserite in un catalogo edito da Alloro Editrice Palermo: da quella pubblicazione sono appunto tratte le fotografie dei luoghi ritratti da Dante Cappellani in luoghi ignoti, probabilmente prima del secondo conflitto mondiale.

L'ultima fotografia di Dante Cappellani riproposta in questo post da REPORTAGESICILIA: lungo la strada statale 113 Palermo-Messina l'obiettivo coglie insieme tre diversi mezzi di locomozione: una carrozza - nascosta dal gruppo di persone in strada a sinistra della foto - un'autovettura forse fermata da un guasto meccanico ed un carretto trainato da un asino.
Le persone presenti osservano forse con perplessità il nuovo mezzo motorizzato, restituendo l'immagine di una Sicilia legata ancora a ritmi e strumenti di lavoro di tipo rurale
Ai nostri giorni l’archivio di Dante e Giuseppe Cappellani è visibile sul sito http://www.stanzediluce.com/, i cui curatori stanno ancora completando il lavoro di catalogazione.




mercoledì 25 gennaio 2012

GIORDANO, MEMORIE DEL 'MAXI'











Alfonso Giordano è stato il presidente del primo maxiprocesso a Cosa Nostra, iniziato a Palermo nel febbraio del 1986 e terminato nel dicembre dell’anno successivo: un evento che ha segnato la storia siciliana del secondo dopo guerra, e che in quel periodo provocò anche accese polemiche che misero in discussione la validità giuridica delle accuse mosse a quasi 500 fra boss e gregari delle cosche.
Al di là delle valutazioni tecniche – e senza dimenticare le condanne emesse per gravi e documentati reati - il ‘maxi’ svoltosi nella nuova aula bunker dell’Ucciardone, ha rappresentato per molti palermitani una presa di coscienza sull’impegno di una parte dello Stato nella volontà della lotta alla mafia.

Alfonso Giordano durante una delle udienze del primo 'maxiprocesso' a Cosa Nostra, celebrato a Palermo dal febbraio del 1986 al dicembre del 1997. Venticinque anni dopo quell'esperienza professionale e personale, il presidente di quello storico dibattimento ha pubblicato per l'editore Bonanno le sue memorie del processo

Di quella coscienza, Giordano – palermitano e figlio di un magistrato - è stato e rimane uno dei simboli chiave, al punto che ancor oggi il suo nome è indissolubilmente legato al ricordo stesso del ‘maxi’.
Venticinque anni dopo in cui Alfonso Giordano pronunciò per 19 volte la parola ‘ergastolo’ – leggendo la sentenza di condanna per altri 2665 anni di carcere e di assoluzione per 114 imputati – il presidente del maxiprocesso pubblica un memoriale su quella eccezionale esperienza professionale ed umana.
I suoi ricordi sono stati pubblicati da Bonanno Editore ( http://www.bonannoeditore.com/it/) , in un volume di 340 pagine intitolato ‘Il maxiprocesso venticinque anni dopo’; il lavoro si presenta come una minuziosa ricostruzione di fatti, circostanze e protagonisti del più importante processo a Cosa Nostra.
Lo stesso autore del memoriale spiega di avere atteso così tanti anni prima di raccogliere i suoi ricordi in un libro, in primo luogo, “per una crisi di rigetto nei confronti della materia che mi aveva costretto a uno studio triennale, intervallato da un corredo di ansie, patemi, delusioni, terribili interrogativi, speranze e timori. Solo adesso, con lo scopo di contribuire all’esattezza storica dei fatti e non più oppresso dal riservo professionale, posso interloquire su alcuni episodi importanti di quel processo”.

Un'immagine dell'aula bunker dell'Ucciardione che ospitò il maxiprocesso di Palermo, al termine de quale Giordano pronunciò la sentenza che condannò all'ergastolo 19 imputati e dispose 2665 anni di carcere al resto dei quasi 500 boss e gregari delle cosche a giudizio.
Entrambe le fotografie pubblicate in questo post sono state tratte dal volume 'Giudice popolare al maxiprocesso', edito da Ila Palma nel 1988
La lucidità del racconto di Giordano – che rievoca anche le famose audizioni di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno – riassume il carattere stesso dell’uomo e del magistrato, secondo una descrizione che ne diede anni fa Mario Lombardo, giudice popolare al ‘maxi’: “Di temperamento apparentemente chiuso, - scrisse nel saggio ‘Giudice popolare al maxiprocesso’, edito da Ila Palma Palermo nel 1988 - non disdegna qualche impennata, ma è cordiale quando lo si avvicina. E’ dotato di una resistenza elefantiaca, dimostrata nelle estenuanti udienze tenute fin dall’inizio. I suoi nervi, sottoposti a pressione da due anni, sono rimasti ben saldi. C’è in lui un lato umanitario, che traspare anche quando parla di delinquenti uccisi”.




lunedì 23 gennaio 2012

MOZIA, GLI SCATTI DI WHITAKER

Giuseppe Whitaker e la sorella Delia fotograti a Mozia, il sito fenicio punico dell'isola di San Pantaleo, in provincia di Trapani.
REPORTAGESICILIA ripropone una serie di scatti eseguiti tra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX provenienti dal fondo fotografico della famiglia anglo-siciliana dedita alle attività vitivinicole e che nel 1906 acquistò l'isolotto. 
Tutte le immagini sono tratte dalla pubblicazione 'Il fondo fotografico Whitaker', edito nel 2007 a Palermo da Crimisos Società Cooperativa
Ho ricordi piuttosto datati dell'isola di Mozia.
Malgrado la relativa vicinanza con Palermo - e l'indubbia bellezza di questa zona della provincia trapanese - il mio unico approdo nella località archeologica di età punica risale ai tempi della scuola media; quindi, ad alcune decine di anni fa, in occasione della classica gita scolastica in cui frotte di ragazzini si divertono più a fare confusione sull'autobus che li porta a destinazione che a conoscere il luogo della loro giornata di vacanza, vanamente mitigati dagli insegnanti.
Reperti archeologici fotograti a Mozia nel 1913 da Thomas Ashby, collaboratore di Giuseppe Whitaker. L'imprenditore vitivinicolo, appassionato anche di botanica, fu un cultore di Heinrich Schliemann ed è stato il più importante promotore di scavi nell'isola che ha accolto una delle principali colonie fenicie del Mediterraneo. La datazione del sito risale all'VIII secolo a.C., la sua distruzione - ad opera dei Siracusani - al 397 a.C. 
Di quel luogo silenzioso e quasi disabitato - nel quale un tempo, secondo il vendicativo racconto degli stessi insegnanti gli abitanti sacrificavano i bambini - ricordo la laguna bassa e quasi immobile, ed i cocci di ceramiche raccolti per gioco ai margini dei sentieri.

Ancora uno scatto risalente al 1913, di autore sconosciuto: vi sono ritratti alcuni operai che trasportano alcuni oggetti appena recuperati durante le ricerche. Ancora ai nostri giorni, l'isola di Mozia accoglie missioni archeologiche italiane e straniere. La proprietà dell'area è gestita oggi dalla Fondazione Whitaker, la cui sede è ospitata a Palermo a Villa Malfitano, originaria dimora della famiglia di origini inglesi
Durante quella gita imparammo che, ad un certo punto della sua millenaria storia, l'isola di Mozia - chiamata anche San Pantaleo - venne acquistata da un ricco signore di origine inglese, con la passione per la botanica, per il vino e per l'archeologia: Giuseppe Whitaker.

In questa fotografia senza data e di autore sconosciuto, quattro carri trasportano abitanti e visitatori dell'isola attraverso un'antica strada semisommersa che collega Mozia alla terraferma
In anni più recenti, ho così raccolto le sue essenziali notizie biografiche: cultore di Heinrich Schliemann, imparentato con la famiglia Ingham e sposato con Sofia Sanderson – figlia di Guglielmo, console inglese a Messina – tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo Giuseppe Whitaker estese i suoi interessi nel settore vinicolo fra Marsala, Balestrate, Campobello, Mazara ed Alcamo; l’interesse per le antiche civiltà e per la ricerca archeologica, nel 1906 lo portò ad acquistare l’isola di San Pantaleo, la cui superfice terriera, dai primi anni del 1800, era suddivisa fra 19 famiglie.

Un gruppo di abitanti di Mozia - quasi tutti bambini e donne - in una fotografia di autore ignoto e data imprecisata. Whitaker acquistò l'isola agli inizi del secolo XIX: la proprietà era frazionata in più lotti intestati a 19 persone, gran parte delle quali contadini 
L’imprenditore di origine inglese fu aiutato nella sua opera di ricerca archeologica delle testimonianze puniche dallo studioso Antonio Salinas e da un anziano reduce garibaldino, Giuseppe Lipari Cascio.

Una foto di autore e datazione sconosciuti ritrae Giuseppe Lipari Cascio sulla soglia della sua abitazione. Trapanese e con trascorsi nelle file garibaldine, fu uno dei principali collaboratori siciliani delle attività della famiglia Whitaker, interessandosi anche all'attività di scavo archeologico
Negli anni successivi a quella gita adolescenziale ho più volte desiderato fare ritorno a Mozia, senza realizzare il progetto.
Qualche mese fa, sono però tornato a pensare a quel lembo di terra e di antiche pietre circondato dalla stagnone di Marsala. L'occasione me l'ha procurata il mio vecchio amico Andrea Di Napoli, figlio di una di quelle antiche famiglie siciliane capaci di conservare oggi un signorile distacco dalla povertà morale dei nostri tempi. Andrea - mio maestro di fotografia ( maestro rimasto più bravo dell'allievo ) - mi ha infatti regalato una pubblicazione dedicata ad un progetto di catalogazione e conservazione del fondo fotografico della famiglia Whitaker: un’iniziativa risalente al 2007, cui lui stesso ha preso parte come addetto alla conservazione di vecchie stampe all'albumina ed aristotipi alla gelatina, raffiguranti proprio Mozia.

Questa fotografia tratta dal fondo della famiglia Whitaker risale al 1963 ed è attribuita a Vasari.
L'immagine fissa il trasbordo di un gregge di pecore dalla terraferma verso l'isola, nelle acque dello Stagnone: una scena dal tono decisamente bucolico e che dimostra il carattere pastorizio e rurale della vita a Mozia nel pieno dello sviluppo industriale allora vissuto dall'economia siciliana
Adesso, una selezione di immagini pubblicate in ‘Il fondo fotografico Whitaker’ da Crimisos Società Cooperativa, Tipografia Alba Palermo, ottobre 2007, viene riproposta da REPORTAGESICILIA: in quei vecchi scatti – scrive M.Pamela Toti nell’opera – si osserva “una preziosa documentazione per l’inizio della storia moderna di questo importante sito archeologico fenicio punico. Ed inoltre dalle immagini nelle quali sono fermati i paesaggi e la gente moziese, traspare evidentissimo il grande amore che questo gentiluomo anglo-siciliano nutriva per il suo rifugio, immerso nella natura e nella storia”.
Maggiori dettagli sulla storia e sulle attività organizzate ai nostri giorni nel ricordo di Giuseppe Whitaker sono disponibili nel sito della Fondazione intitolata al suo nome, http://www.fondazionewhitaker.it/ 



Le ultime quattro fotografie riproposte da REPORTAGESICILIA restituiscono il volto meno 'scientifico' rappresentato dall'opera dei Whitaker a Mozia, privilegiando l'aspetto 'privato' della vita quotidiana della famiglia di origini inglesi: in primo luogo, l'attività balneare svolta durante la stagione estiva.
In alto, uno scatto dell'archeologo siciliano Antonio Salinas coglie la prima luce dell'alba sul molo della piccola isola; quasi di gusto impressionistico è invece lo scatto di Thomas Ashby che - tra il 1918 ed il 1920 - coglie il riflesso sull'acqua di Norina e Delia Whitaker sedute su uno scoglio; ancora le due sorelle di Giuseppe Whitaker sono ritratte da Ashby prima e durante un bagno nello Stagnone, favorito dalla costruzione di un capanno dove cambiarsi  


lunedì 2 gennaio 2012

LA SICILIA RURALE DI BRONZETTI

Una gita a Montelepre nel 1948: è il primo scatto proposto da REPORTAGESICILIA e tratto dal volume 'Le Siciliane - L'archivio fotografico di Eugenio Bronzetti'', edito nel 1990 da Gelka.
Il saggio offre una selezione del patrimonio documentario di uno dei più noti fotografi documentaristi nella Sicilia del secolo scorso, nel periodo compreso fra il 1930 ed il secondo dopoguerra

Eugenio Bronzetti è stato uno dei più noti fotografi nella Palermo degli anni Venti dello scorso secolo. Figlio di Benedetto – a sua volta attivo in Sicilia come fotografo a partire almeno dal 1889 – e nipote materno di Eugenio Interguglielmi, altro nome storico di quest’arte, Eugenio deve la sua fama agli arditi scatti aerei ed alla fotografia industriale.

Eugenio Bronzetti fu fotografo soprattutto di edifici monumentali, industrie ed eventi ufficiali; i suoi scatti della realtà contadina siciliana - qui a Salaparuta, nel 1936 - svelano tuttavia i segni di una quotidianità lontana da quell'idea di progresso e ispirazione futurista che animò tra le due grandi guerre lo spirito del fotografo

Il giovane Bronzetti, nato nel 1906, già all’età di 16 anni fece parlare di sé per essersi arrampicato su una ciminiera, allo scopo di ottenere un’inedita immagine panoramica di Palermo; da lì a qualche anno, il giovane fotografo avrebbe sposato l’ideologia futurista, privilegiando la rappresentazione di edifici monumentali, attrezzature meccaniche, miniere ed inaugurazioni, come quella della sede palermitana della Banca d’Italia, nel 1929.

Una donna ramazza lo spazio adiacente la stalla di una casa colonica: la fotografia è datata fra il 1938 ed il 1940, ed è un esempio di perfetta composizione dei vari piani della scena, in grado di cogliere la naturalezza di una quotidiana scena di vita rurale 

Così, Eugenio Bronzetti riuscì presto a diventare il fotografo accreditato per molti committenti pubblici: l’Ente di Colonizzazione del Latifondo, i Cantieri Navali, l’Ente Porto e l’Ente Zolfi.

Una straordinaria immagine di Bronzetti coglie gesti e pose di due donne all'interno di una tipica cucina siciliana: è il 1938, e l'osservazione dei tanti oggetti allora di uso domestico è uno spaccato di vita del periodo

 A lui si devono ancora numerose immagini dei villini liberty a Palermo, che costituiscono una parte del patrimonio di circa 85.000 negativi e lastre di vetro che lo stesso Bronzetti donò prima della morte – avvenuta nel 1997 - alla fototeca regionale del Centro per l’Inventario e la Catalogazione del capoluogo siciliano.

Sono spesso le donne le protagoniste delle fotografie di Bronzetti nella Sicilia contadina del suo tempo.
 Questo scatto risale al 1950, e coglie il paese madonìta di Isnello durante un momento del concorso della Necchi denominato 'La Sposa d'Italia', istituito prima del secondo conflitto mondiale dal pubblicitario Dino Villani 
Meno nota e celebrata è l’opera fotografica che Bronzetti portò avanti negli ambienti rurali della Sicilia, sin oltre gli anni del secondo conflitto mondiale; i suoi scatti furono realizzati nella maggioranza dei casi utilizzando una vecchia macchina a cassetta a lastre di vetro.

In questa fotografia scattata nel 1941 nelle campagne catanesi, Eugenio Bronzetti rivela una forza di descrizione dell'ambiente e dei caratteri che ricorda certe opere di Francisco Goya.
E' una visione che rivela la capacità di cogliere la realtà isolana del suo tempo, distante dalla retorica del progresso e del monumentale a volte imposta dalla cultura ufficiale di quegli anni   

 In campagna – come scrisse nel 1990 Nino Recupero, nella prefazione al volume ‘Le Siciliane – L’archivio fotografico di Eugenio Bronzetti’, edito da Gelka – “ il suo occhio documenta la tradizionale, antica miseria; riuscendovi forse meglio che non nella veste di esaltatore della riforma agraria fascista.

L'interno di una abitazione pastorale catanese: la datazione dello scatto è la stessa della fotografia precedente.
Ancora una volta Eugenio Bronzetti ci restituisce un volto oggi quasi del tutto scomparso della civiltà contadina siciliana

 Ricche di contrasto tra bianco e nero, le sue foto delle nuove case coloniche del latifondo ricordano più il cinema sovietico degli anni Trenta che non la contemporanea fotografia americana…”.

Un interno di abitazione con bambini e la fotografia di un antenato: Bronzetti coglie la contrapposizione fra la miseria dei giovanissimi soggetti e la formale dignità del parente adulto, ritratto col vestito della domenica 
Una casa colonica ritratta da Bronzetti fra il 1938 ed il 1940. Nella prefazione al volume edito da Gelka nel 1990, Nino Recupero osservava che "le sue foto delle nuove case coloniche del latifondo ricordano più il cinema sovietico degli anni Trenta che non la contemporanea fotografia americana"   
Il volume della Gelka è da tempo fuori produzione; REPORTAGESICILIA ripropone alcuni degli scatti raccolti nella pubblicazione. Sono scatti in bianco e nero che restituiscono l’immagine di una Sicilia oggi quasi del tutto scomparsa, in un’ambientazione rurale che racconta per lo più gesti antichi di vita domestica, fra il 1933 ed il 1950.

Un ritratto fotografico di Eugenio Bronzetti, risalente a poco tempo prima la sua morte, avvenuta nel 1997.
Il patrimonio documentario della sua opera - composto da 85.000 fra negativi e lastre in vetro - è oggi raccolto a Palermo presso la fototeca regionale del Centro per l'Inventario e la Catalogazione 

Una fotografia senza data ritrae lo spostamento di una madre e dei suoi bambini su un asino.
La scena di Bronzetti - che chiude questo post di REPORTAGESICILIA - si compone intorno agli alberi di un uliveto, e sottolinea il fortissimo rapporto che ancora meno di un secolo fa legava gran parte della popolazione siciliana all'agricoltura